L'ultimo abbraccio

La luce fredda nello stretto bagno traballava freneticamente rendendo l’atmosfera irrealmente schizofrenica. Le piastrelle color verde, lasciavano intravedere una nera sporcizia tra le loro fessure e grandi macchie scure di umido traspiravano dai muri, una volta bianchi. La piccola stufetta a corrente ronzando riscaldava un poco lo stretto ambiente dimesso, intiepidendo anche il passo di blatte nere che scivolavano silenti tra le crepe. La piccola finestra lasciava cogliere le sagome imprecise dei tetti, avvolti in una sera nebbiosa, dalle tinte cupe e piangenti che andavano a stringere l’anima.
Jaco stava in piedi di fronte allo specchio, pettinandosi i lunghi capelli neri dall’aspetto unto, assorto in forvianti pensieri.
Stasera la vedrò, finalmente... sarà bellissima e nessuno potrà mettersi in mezzo questa volta. Lei sarà finalmente solo mia.
Una mano passò sullo specchio, segnando una ampio semicerchio nel sottile strato di condensa su di esso. I suoi occhi sembravano spenti, persi nel nulla sotto palpebre semi abbassate, appesantite dall’effimera emozione sintetica dell’ultima dose. Ma dietro il suo sguardo interrotto, in fondo alla sua anima stava esplodendo un universo di roboanti emozioni che incanalavano ogni suo sempre più profondo respiro.
Già, infatti quella sera dopo anni di sofferenza, di parole abortite a denti stretti, di masturbazioni nascoste nell’insoddisfazione per illudersi di riempire un vuoto... quella sera l’avrebbe incontrata.
Sono quasi pronto, chissà come sarà lei... che cretino, lei è sempre bellissima e sta sera aspetta solo me... me e nessun altro storno! Soltanto io e lei... già me la vedo... proprio come nei miei sogni.

Lei era bellissima nelle sue fantasie, era nebbia fresca nella sua mente, rugiada leggera sui suoi pensieri, ruggine sulle foglie d’autunno. Quante volte aveva fantasticato sul loro primo incontro, quante volte aveva pensato cosa avrebbe dovuto dire, come sarebbero stati i suoi seni nelle sue mani, il profumo dei suoi capelli, il sapore delle sue labbra fini e ben delineate... molte volte, troppe, ed ora era arrivato il momento di rendere reali tutte le sue fantasie.
Forse Dio non è così insensibile alle nostre voci, alle nostre invocazioni, forse ci ascolta nelle preghiere silenziose dette in stanze buie, forse...
Jaco finalmente sentiva in bocca il sapore della vittoria, pregustando la più dolce attesa della sua vita.
Forse arriverò un po’ in anticipo... ma chi cazzo se ne frega, meglio arrivare sempre un po’ prima. Lei mi starà già aspettando, sono sicuro che mi sta pensando, sicuramente freme all’idea di incontrarmi.
Il lavandino gocciolava insistentemente, lasciando una piccola zona d’acqua ferma che aveva creato un segno nero sulla ceramica, nei pressi dello scarico semi ostruito dai capelli. L’immagine di lui appariva e spariva, illuminata dalla luce intermittente, nello specchio lercio e scheggiato dalle sue frustrazioni. I suoi piercing risplendevano come le medaglie al valore di un eroe di guerra, così come le sue cicatrici semi nascoste dalle ampie zone tatuate del suo corpo muscoloso.
Nello stereo deflagravano le note di “Discipline” dall’ultimo “God hates us all” degli Slayer, aveva bisogno di caricarsi per affrontare la serata e anche se molti denigravano quell’album, lui lo trovava violento al punto giusto.
Sorrise all’oscenità delle sue fantasie, avvicinò il volto allo specchio strusciandosi su di esso, leccandolo, fingendo di baciarsi, si sentiva eccitato, tremendamente su di giri. Gli piaceva sentire il piercing sulla sua lingua stridere al contatto della superficie liscia dello specchio, gli dava i brividi. Poi si distolse da quelle perverse pratiche, si irrigidì di colpo e proseguì i preparativi.
Si sciacquò i denti con un po’ d’acqua spuntando nel lavandino, che gorgogliando trascinò tutto nei suoi condotti marci, poi spense la luce e si diresse fuori.
Ora sì che sono pronto, ho messo il giubbotto nuovo, quello di pelle... non puzza più come quando l’ho comprato. Certo non è bello arrivare ad un appuntamento e puzzare... non ci sto più dentro.
Fiducioso e visibilmente esaltato, Jaco si apprestava a uscire ed a farsi inghiottire dalla sua notte. Sapeva che non sarebbe stato un incontro facile, qualche piccolo rischio, qualche scomodità ci sarebbe stata, ma era così che lei aveva voluto incontrarlo ed era così che doveva andare.
Il ragazzo chiuse la porta di legno dietro di sè, guardando le finestre dei vicini, nell’ampio cortile che ormai erano tutte spente, poi si diresse fuori. Nel centro del cortile saltellando in cerchio (con un ghigno osceno stampato sul volto) fece il dito a tutte le finestre degli odiati residenti, sempre pronti a criticarlo e a sparlare di lui.
Brutti stronzi, potete andare tutti affanculo, io sta notte vivrò... voi non ci riuscirete mai.
Si incamminò nel nero della notte, avvolto da una gelida nebbia, verso il punto dove ci sarebbe stato il loro incontro. Non aveva voluto usare la macchina, tanto era vicino il posto e poi sarebbero stati tutta la notte da lei.
Il ragazzo giunse al limitare di un’alta cinta ricoperta da rampicanti grigi e morti, oltre ad essa una tetra costruzione imponente, stagliava la sua sagoma nera oltre alti alberi secolari. Le loro fronde scheletriche, parvero agitarsi incollerite al suo arrivo, gemendo nel sussurro della notte.
Era così che il destino voleva che succedesse, era così che doveva andare... ed è così che andrà!
Si portò in un punto nascosto in uno stretto vicolo, guardò un attimo in giro, poi diede un potente calcio con il suo anfibio ad un lampione adiacente alla cinta, il bagliore si spense e intorno fu subito oscurità. Aggrappandosi ad esso si arrampicò sulla cinta umida, scavalcò senza fatica cadendo dall’altro lato in un ampio giardino spogliato dalla stagione autunnale. Si ripulì le mani imprecando, controllando di non essersi infangato i vestiti.
Cazzo, mi sono sporcato le mani, forse anche i pantaloni, merda! devo essere perfetto sta sera...
Con uno scatto fu fuori dal giardino, poi attraversò velocemente un piccolo spiazzo piastrellato con qualche macchina parcheggiata sopra, quindi fu dinnanzi ad una pesante porta di ferro dalla lavorazione spartana. Lei gliel’avrebbe fatta trovare aperta, ne era sicuro... ma così non fu. Il ragazzo comunque non si scoraggiò, anzi fu ulteriormente eccitato da quel piccolo contrattempo.
Più grande era l’attesa, più dolce sarebbe stato il nettare del suo fiore.
Dopo qualche spinta a vuoto, estrasse dalla tasca un mazzo di chiavi appuntite di varia lunghezza e spessore. Lo aveva già fatto diverse altre volte, era un esperto nel settore e le porte alla fine sono tutte uguali. Pregustando un certo eccitamento erotico ne conficcò una nella serratura, un piccolo scatto e la porta fu aperta.
Ecco, così... fai tlak, fai talk... ecco, perfetto ci sono è andata.
Forse lei voleva che tutto fosse un po’ complicato per accrescere il gusto del loro incontro, la loro felicità. Jaco accedé in un piccolo atrio, senza accendere la luce entrò nella porta bianca, semi aperta, che si trovava di fronte a lui. Tastò il muro con la mano trovando un piccolo interruttore, accese la luce e finalmente la vide. Era bellissima addormentata sul suo letto, il colore della sua pelle era candido, i suoi capelli di un biondo che tendevano al bianco.
E’... è stupenda, non l’ho mai vista così da vicino... Sara, piccola mia sono giunto da te... finalmente ti potrò toccare.
Fece piano perché non voleva svegliarla, si avvicinò a lei quasi in mistica adorazione, immaginando il suo corpo nudo sotto le coperte bianche, che gli diede un profondo brivido alla schiena.
I seni turgidi di lei tendevano le lenzuola e le sue labbra fini, erano di un rosa pastello, come un delicato fiore autunnale. Lentamente Jaco, girando intorno al lettino le sfiorò i capelli mentre era già “acceso” e sentiva il suo desiderio crescere infiammando la sua anima. La luce era fredda e veniva da un piccolo faretto sul muro che il giovane avvolse premurosamente con il suo giubbotto per alleviarne la luminosità ed avere più atmosfera.
Piccola mia eccoci infine insieme, per tutte le volte che ti vedevo e non ho mai avuto il coraggio di parlarti, di dirti quanto ti pensavo, quanto eri bella, quanto ti amavo. Per sempre, ora non c’è nessuno, solo io, te e la notte... sono diventato anche romantico, mi viene un po’ da ridere...
Comodamente si tolse i vestiti, li gettò su una sedia, senza avvertire il freddo che c’era in quella stretta camera. Restò un attimo fermo, quasi a non voler turbare un così bel momento, quasi timoroso di sfiorare tale pietra preziosa. La sua mano titubante alzò un lembo di lenzuolo, per scivolare nel suo giaciglio d’amore. Restò un attimo senza fiato vedendo la sua perfetta nudità, poi lentamente scivolò sotto le coperte, fremendo al contatto con le sue carni fredde e dure.
Sei bellissima, anche se i tuoi occhi sono chiusi... Dio, spero di non venire subito... sono così eccitato... ma poi sarò ancora qui per scopare con te, ancora e ancora...
Sentiva il suo profumo leggermente acre, sfiorava le sue mani ferme stringendole mentre la penetrava piano sospirando in preda al piacere.
Sì... sì, Dio ti ringrazio... sì... ti amo... quanto ti amo...
Il suo cuore batteva all’impazzata così come il suo respiro si fece più forte fino a sfociare nell’estasi suprema... del terrore!
La notizia non fece scalpore neppure sui giornali locali, restò una delle inquietanti verità celate tra le foschie dei piccoli centri e che si sussurrano nelle osterie e nei bar, quasi come una leggenda urbana.
Quella mattina di novembre gli infermieri notarono subito la porta dell’obitorio schiusa e videro per primi lo spettacolo tremendo che celava al suo interno. I loro occhi restarono sbarrati colmi di orrore e macabra meraviglia dinnanzi all’orrido scenario che la notte aveva allestito per loro. La più giovane delle infermiere svenne quando i suoi occhi si posarono sull’unico giaciglio occupato nella stanza.
Un ragazzo nudo giaceva sul lettino, a ridosso del cadavere della povera Sara (deceduta la mattina precedente in seguito ad un terribile incidente d’auto), probabilmente morto di infarto. La sua espressione era l’emblema stessa del terrore: gli occhi sgranati, la pelle accapponata, la bocca spalancata da cui scendeva un rivolo di bava bianca che arrivava al pavimento.
Elementi grotteschi farcivano con gusto macabro la rigidità oggettiva della ricetta della morte. La testa di lui era rivolta all’indietro, come a voler cercar aiuto, distogliendo lo sguardo da ciò che si era rivelato dinnanzi ai suoi occhi. La leggera coperta che copriva solitamente i cadaveri era caduta a terra, lasciando vedere appieno la macabra rappresentazione. I corpi stretti erano ancora rigidamente uniti in un orrenda parodia di un atto d’amore o di lussuria che aveva superato le barriere della vita e della morte. I muscoli duri, le carni pallide, rigide, i volti coperti dalla maschera incolore della rigor mortis.
Gli arti di lui erano distorti in posizioni innaturali e forzate, come se avesse voluto sottrarsi, sfuggire a ciò che lo aveva ghermito in quella situazione impossibile.
Poteva essere amore... poteva essere il sussurro delle notti nebbiose, poteva essere il più grande, abominevole desiderio diventato realtà.
Jaco, giaceva nudo sul cadavere della giovane Sara che lo stringeva impietosamente in un ultimo disperato abbraccio da cui era stato impossibile sottrarsi.
Gli occhi di lei erano aperti, sbarrati in un espressione che lasciava trasparire: sorpresa, odio, terrore, sentimenti che i morti non potevano certo avere, ma che scorrevano espliciti sulle pieghe di quel volto.
I di lei arti erano tesi, serrati intorno al corpo di lui, scattati come una trappola mortale, in un estremo atto di difesa anche dopo la morte o in un atteggiamento che simulava un recondito affetto?
Forse anche per lei c’era il rimorso di non aver potuto in vita giacere con il giovane Jaco, forse quel riflesso post morte era stato solo il suo ultimo abbraccio.

Fabio Ciceroni