La morte

Vedo ombre in pieno giorno. Ho paura di tutti e di tutto. Anche delle cose più banali che mi stanno attorno.

 

-Parlami delle ombre.

 

-Ombre. Buio. Cattiveria. Paura.

 

Le parole uscivano dalla bocca di John come fumo: erano lente e si mischiavano gradualmente all'ambiente. A quell'ambiente elegante e pieno di fascino, lo studio di uno strizzacervelli. Sul tavolo di mogano c'era una scritta, 'Dottor W.J. Anderson'. Il dottore stava prendendo appunti sulla comoda poltrona affianco al tavolo di mogano, mentre il paziente parlava sdraiato sul lettino, quasi in trance. Sopra il lettino un quadro astratto.

 

-Hai paura della cattiveria della gente?- Chiese il dottore.
-Ho paura. Esatto. Non so di cosa.

 

-Parlami delle ombre.

La radio-sveglia si accese isterica e monotona come ogni mattina, alle sei e mezza puntuale. John allungò il braccio. Un No impastato dal sonno sostituì il bip. Si alzò e guardò la moglie mezza addormentata. Bella e giovane. John si avvicinò al suo viso e annusò la debole traccia di profumo provenire dal caldo corpo sotto le lenzuola. La baciò. A John sembrò che il volto della moglie si stesse dipingendo di un ampio sorriso malefico, nero come la morte. Indietreggiò scosso. Gli occhi sgranati cadderono nuovamente sul volto, il sorriso malefico era scomparso.

 

La mattina era fresca e ventilata. John entrò in macchina. Non ce la faceva più. Non poteva andare avanti così. Non era sicuro di quanto tempo fosse passato dalla prima apparizione. Apparizione di cosa, poi? Tutto quello che vedeva erano facce malefiche, ognuna diversa dall'altra. Aprì il cruscotto e prese la scatola dei calmanti.

 

Appena arrivato al lavoro il boss lo chiamò da lontano:
-John, vieni nel mio ufficio! John chiuse la porta e prese posto a sedere di fronte alla scrivania del boss, un tipo sulla sessantina, grosso.
-La L.A Corporation è un dito nel culo!- Cominciò il boss. -Questa stramaledetta situazione mi sta facendo diventare matto- Come se già non lo fossi, pensò John, che non lo stava davvero ad ascoltare. Non poteva ascoltare tutte le sfuriate del boss altrimenti l'avrebbe già strangolato. Era solo un ciccione rompiballe che non sapeva con chi sfogarsi. E quindi si sfogava con la seconda persona che valeva davvero qualcosa in quella baracca, cioè lui. La faccia infuriata del boss, che parlava della compagnia tale e della stramaledetta concorrenza, si trasformò in un ghigno spaventoso come la morte. I suoi occhi si fecero più grossi. John sussultò. Aveva avuto un'altra visione.
-Cosa c'è, non stai bene?
John tentennò un attimo: -No, no. Sto a posto.-
-Ti vedo a pezzi, John.- Il boss fece un lungo sospiro. -Mi dispiace. Ultimamente gli affari vanno male, lo sai anche tu. E' un brutto momento, ma passerà anche questo.
-Lo so.- John fissava qualcosa fuori dalla finestra per non incrociare il suo sguardo con quello del boss.

 

John non guardava mai il suo analista in faccia per due motivi. Primo perché teneva sempre gli occhi chiusi; secondo perché anche se li apriva il suo sguardo sarebbe finito sulla porta chiusa dello studio e su una bella lampada alta che toccava quasi il soffitto. Era l'unica cosa di cui era veramente sicuro. Tutto il resto era un incubo, oppure la realtà. Che differenza c'era?

 

-Queste facce a cui fai sempre riferimento, cosa ti ricordano?

 

-Mi ricordano la morte. Mi fanno paura. Sembrano deridermi. Accidenti dottore non c'è modo per far andare via queste allucinazioni? Non posso nemmeno guardare negli occhi per più di due minuti mia moglie senza prendere uno spavento. Ormai è spaventata anche lei; pensa che io stia diventando matto. E forse è vero.

 

-Con pazienza arriveremo a risolvere tutto. Cerca di collaborare. Dimmi, dopo quanto tempo le facce si "trasformano" e distorgono?

 

-Non lo so. Non ci ho mai fatto caso.

 

-Un minuto? Trenta secondi?

 

-Molto meno.- Disse John con un tono incredulo.
-All'incirca una decina di secondi.-

 

John consultò l'orologio. Erano passati due minuti e ancora non vedeva niente. Ciò lo fece sentir meglio, più sicuro di sè. Lo specchio del bagno copriva l'intero muro. La faccia distorta della moglie, all'improvviso, lo fece gridare.
-Cosa c'è tesoro, ti ho spaventata?- Disse la giovane donna. No. John aveva di certo meno paura adesso, che aveva scoperto che la sua faccia non aquistava forme amorfe e spaventose come tutte le altre quando si guardava allo specchio. Si girò per guardare la moglie, che aveva un ghigno crudele e spaventoso sul volto.
-Amore, amore perché mi guardi in questo modo?- Chiese John. La donna non disse niente, continuava ad avere la stessa orripilante espressione.
-Io non ti sto guardando in nessun modo.- Balbettò lei. John uscì dal bagno e poi corse fuori di casa. Si guardò attorno. Adesso le facce della gente avevano un istantaneo ghigno sui volti; quei terribili sorrisi lo guardavano incessantemente. Cosa stava succedendo?

 

-Cosa mi sta succedendo, dottore?
-Bisogna arrivare alla radice del problema.- Commentò il dottore con calma. Sul viso aveva messo una maschera di modo che John non vedesse anche la sua faccia distorta. Voleva che si fidasse almeno di lui; voleva essere diverso da tutte le altre persone di cui John aveva irrimediabilmente paura. Altrimenti come lo avrebbe aiutato?

 

-Queste facce,- continuò il dottore -cosa le sembrano?
-Gliel'ho già detto. Mi ricordano la morte.
-A questo punto ho una domanda da porti, John.
-Si?
-Hai mai visto la morte in faccia?

 

John non rispose. Sembrava cominciasse a respirare più rapidamente.
-Cerca di ricordare tutto dall'inizio.- Disse il dottore. John prese coraggio e cominciò a scavare nei suoi ricordi:
-Stavo guidando la macchina.- John si interruppe per qualche lungo secondo.
-Stavo guidando per andare al lavoro. Ero di fretta perché in questo periodo abbiamo un sacco di lavoro. E io non posso permettermi di arrivare in ritardo.

 

-Stavi guidando per andare al lavoro.- Disse il dottore per seguire il filo del racconto.

 

-Esatto. L'asfalto era bagnato. Stavo guidando velocemente. Il telefonò squillò d'improvviso.
-Chi era?- Chiese il dottore.
-Era il mio boss. Voleva sapere dove fossi. Gli dissi che stavo arrivando. L'asfalto era bagnato. Ho paura quando l'asfalto è bagnato. Persi il controllo del veicolo. Sì, adesso ricordo! La macchina sbandò. Andai a finire nell'altra corsia. L'ultima cosa che ricordo è un camion, un grosso camion. Oh mio Dio! Oh mio Dio, dottore. Io, io...ho avuto un incidente. Io sono morto!

 

John ebbe un enorme sospetto che lo invase anima e corpo. Spalancò gli occhi e si alzò di scatto. Si girò. Il dottore era scomparso. Non c'era nessuna traccia del dottor Anderson. John guardò illuso le strane forme e i strani accoppiamenti di colori del quadro astratto sopra il lettino.

 

La stanza puzzava di ospedale. E lui odiava gli ospedali. Gli ricordava di quando venne ricoverato quella volta quando mangiò troppo e poi andò a farsi un bagno nelle acque mosse di Miami Beach. Si sentiva in colpa.

 

-E quando le ha telefonato, lui cos'ha detto?
-Ha detto che stava arrivando. Dopodiché ho sentito un botto enorme. Ho avuto il terribile sospetto che fosse successo qualcosa. E infatti...

 

Il boss non riuscì a finire la sua frase. Una lacrima gli percorse il viso rapidamente.

 

-Non deve sentirsi in colpa.- Disse il medico dietro la sua tunica bianca, come se gli avesse letto il pensiero.
-Non deve sentirsi in colpa.

 

La giovane e bella donna se ne stava in ginocchio con le mani nelle mani di John. Piangeva. Non poteva sopportare di vedere il marito in quella situazione; pieno di tubini e aghi nelle braccia e una maschera sul volto contuso dall'incidente.

 

-Dottore...- Accennò la donna con un singhiozzo.
-Dottore, pensa che ce la possa fare?

 

Il medico si portò una mano sulla fronte. -Suo marito è in coma. E' sospeso tra la vita e la morte. Dipende tutto da lui. Se è forte ce la farà, signora. Se è forte si risveglierà.

Lorenzo Ciocciotozzo

Vivo a Roma, primo anno all'Università Studio Legge. E mi piace leggere storie horror. Fumetto preferito: Dylan Dog.