Empatia e riccioli neri

Tutto dorme nella notte… Il silenzio regna sovrano nel vagone di un treno. Il dolce dolore di non riuscire a dormire perchè si hanno troppi pensieri, mentre sogni e aspettative si mischiano alla realtà. Sarà così finchè c’è giorno, finchè qualcuno non farà sorgere il sole e passerà a servire la colazione. Essere un punto in un infinito quadro impressionista, essere una nota nel mangianastri non può davvero bastare sempre. Essere bambino può voler dire aspettare con ansia il giorno, essere adulto vuol dire non aver paura dei mostri del buio… Solo dei demoni in noi stessi. Un lettore cd gira lento, mentre scarica una batteria già vecchia e due occhi troppo azzurri fanno fatica a chiudersi. Tutto è freddo ora, lenzuola ruvide avvolgono un corpo forse troppo spigoloso, forse solo nauseato. Nenia insonne… Con un colpo, Peter stacca un paio di vecchie cuffiette, la canzone urlava troppo lenta, senza lasciare che pensasse. Solo lui è sveglio, lì, solo nella sua cuccetta? Teme che si facciano vivi di nuovo i suoi vecchi demoni, è preda del suo dolore palpabile… Un dolore in fondo allo stomaco, che può tirare fuori per giocare e farsi male, se ne ha voglia. Solo nel suo sudario, si alza strisciando e le spalle gracili brillano sudate al riflesso di un finestrino. Nel buio c’è solo lui come unico amico, è tornato e stavolta per portarlo via. A nulla serve urlare o piangere, Peter sa che le cose scivolano forse troppo in fretta, a volte. Vede il suo volto nella penombra e lo saluta, troppo pallido forse. Strani occhi grigi lo osservano curiosi…

 

-Sono anni ormai - Occhi traditori di gatta…
-Non mi hai più cercato-
-Eri tu a non volere, mi sono solo adattata-

 

I ricordi di quella notte sono troppo stravolti, pallidi sotto una sottile cortina di fumo, stracciati da un lampo di ghiaccio.

 

Mentre lei lo guarda perplesso, si chiede cosa sia davvero cambiato. Quattro volte ha pensato “la primavera è di nuovo qui… possiamo tutti avere qualcosa di più”… Ma Cobain si sbagliava, per Peter non c’è niente più. Nulla dopo quella notte.

E lei era lì quella notte, come il più antico urlo mai urlato, l’urlo del dolore che da sempre può mangiare un uomo.
L’orrore di vedere il proprio animo che si consuma col passare del tempo… Il demone personale di Peter che lo accompagna ogni giorno, dopo quella notte. Crescere è quasi un gioco d’azzardo, crescere era stata una morsa di ghiaccio. Crescere fingendosi un’altra persona, divenire adulto troppo in fretta. Svegliarsi un mattino ed accorgersi che si è ciò che non si sarebbe mai dovuto diventare. Il suo demone personale… Quindici anni e troppe idee strane per una famiglia come la sua, sempre intenta a sfornare giovani di alto quoziente intellettivo, che vengono poi puntualmente rinchiusi in prestigiose scuole private, per forgiare carattere e tenacia. Essere un diverso, trovare un senso di tutto solo tra le note di uno spartito non era contemplato. Non essere atletico non era contemplato, vestirsi in maniera informale non era affatto contemplato. Fingersi un altro per sopravvivere, il demone quotidiano di Peter. Lottare per avere un posto di essere umano era stato il suo incubo quella notte di quattro anni fa. Come una pazzia, come una follia impulsiva, l’idea di farla finita… Di smetterla con una vita piena di sottili sotterfugi per coltivare il proprio essere in un angolo. Basta, preferisco davvero morire?

 

Preferisco vivere da verme, celando la mia personalità sotto strati di ipocrisia o voglio morire dignitosamente? Decisione davvero non troppo difficile, per chi è stanco di dover essere sempre un ragazzo modello, anche nei giorni in cui si sente solo una creatura del bosco. La gente è solo un animale ignorante. Farla finita di notte, quando la casa è silenziosa. Farla finita lasciando tanto sangue a terra, in modo che chi pulirà si pentirà più a lungo di quello che gli è stato fatto. Tagliarsi le vene con uno specchio e restare lì nell’ingresso, ad aspettare di vedere se arriva prima la morte o qualcuno a salvarti… Fu lì che Peter l’incontrò la prima volta. Mentre il sangue colava copioso sul pavimento, apparve la sua figura ossessa sulla porta. Figura fatta di riccioli neri ed occhi pallidi. Lei era un angelo e disse: -Vieni con me, baciami e vieni con me-… Il silenzio urlava forte nel vagone e chiedeva alla memoria di ricordare ancora.

 

Quei riccioli erano di nuovo lì. Peter si era solo chiesto se fosse l’ideale baciarla mentre moriva, se non l’avrebbe sporcata del suo sangue infetto… Ma lei era cosi sorridente, Peter aveva tanto bisogno di un sorriso… Lei si avvicinava lentamente… Quando si sedette nel centro del nero e si sporse in avanti, quando le labbra toccarono le sue e le dita sfioravano davvero il suo mento, il calore esplose radioso nella gola, sotto la pelle, nei lobi delle orecchie… Sorrise: -Se vieni con me, sarà così ogni giorno.

 

Io bacerò le tue ferite aperte se vieni con me… Lascia solo che altro sangue scenda e poi potrai seguirmi-

 

Urla e voci ad una porta, lei si guarda attorno spaventata, tra poco porteranno via Peter. Trovarlo lì per terra è stato davvero un brutto colpo, ma presto lo porteranno dove si rimetterà in sesto, non è niente ,solo un momento di debolezza. O una vita di debolezze? Peter se lo chiede seduto in un letto d’ospedale. Lui non sa più nemmeno se voleva che lo portassero indietro. Il ricordo di lei lo abbaglia senza pietà. Il suo sguardo spaventato: -Devo andare, ma tornerò a prenderti ,forse. -

 

Peter non sa nemmeno se è una minaccia o un invito. Dopo quella notte le cose non potevano essere uguali, non più. Non si poteva passare sui problemi così superficialmente. Dopo quattro anni, Peter si chiede cos’è cambiato. Dall’insolito ragazzo dai capelli spettinati era diventato un uomo strano e spettinato. Certo, aveva finito gli studi in una scuola lontana da casa, i suoi non volevano ragazzini problematici in giro. E quella notte viaggiava verso una nuova vita. Fatte le valige, sapeva che tutto gli era scivolato di mano definitivamente. Sapeva di star entrando in un mondo caldo ed accogliente, che lo avrebbe ospitato tra le sue spire ambrate. Se avesse accettato quel posto di lavoro, aveva detto suo padre, avrebbe perlomeno trovato un modo dignitoso di tirare avanti, di certo distante anni luce da quello tipico familiare, ma dignitoso. O forse non hai dignità di te stesso? Parole cattive dette contro chi non ha mai potuto essere se stesso. La pecora nera è stata costretta ad esserlo ancora.

 

Peter non si è mai opposto alle idee sbagliate degli altri. Se lavorare come segretario in un’agenzia di proprietà familiare (e casualmente lontana da casa sua) può fare suo padre felice, perché non assecondarlo? E così vecchio che a contraddirlo si rischia di farlo crepare. Così si tira un sipario sulla sua vita fino ad allora, anche se nessuno pensa che meriti applausi. Di nuovo torna una vecchia domanda, una vecchia, ostinata amica… Sarà giusto vendere me stesso per vivere in un mondo di falsi sorrisi?

 

In un mondo dove l’ipocrisia regna sovrana incontrastata ed in cui senza essere falsi non si riesce nemmeno ad essere considerato un uomo? Peter si chiede se queste vecchie domande riporteranno da lui qualcuno… E qual qualcuno è lì ora e lo fissa con aria agrodolce. Tende una mano sorridendo, sa che questa volta nulla può ostacolare la fuga di quell’uomo spaventato.

 

Peter cede senza nemmeno pensare e nel momento in cui tutto cade, in cui l’ultimo specchio si rompe… Onde di dolcezza. Lui crede di poter essere finalmente se stesso mentre sfiora il bacio di quei riccioli neri. Per la gente è sempre così facile essere d’accordo, solo per la loro dannata falsità. Peter questo l’aveva capito, forse troppo in fretta; lui voleva solo essere amato per ciò che era, solo la sua piccola utopia contro la nostra scialba realtà quotidiana. L’empatia ci avvolge nelle sue spire dorate e noi l'adoriamo come adepti sorridenti. C’è chi si piega e c’è chi fugge ,ma se decidete davvero di andare, se decidete davvero di essere, se ci date un taglio aspettate il demone-angelo dai riccioli neri...

Paolo Marcolongo