Il terzo piano

Ci eravamo trasferiti da appena un mese in uno dei quartieri più antichi della città: le sue vecchie palazzine avevano fatto innamorare mio padre, che ne trovò una abbandonata dai tempi della guerra e la fece rimettere tutta in sesto. Una palazzina tutta per noi, tre piani ciascuno, uno per i miei e uno per me, essendo figlio unico; l'altro piano,il terzo, lo avremmo usato come ripostiglio ed eventuale affitto.
Certo che i primi tempi non furono facili, mi dovevo adattare al nuovo tipo di casa, ma col tempo mi piacque non solo l'idea di avere un piano tutto per me, anche di poter invitare chiunque, tanto la casa era mia e poi alle pulizie ci pensavano due sorelle che abitavano nella palazzina accanto, due signore mature sulla cinquantina, Elsa e Brigida. Legai molto con Brigida, era aperta e vivace, il contrario di sua sorella, molto rigida e metodica: spesso Elsa alzava la voce quando trovava cartacce di snacks sotto il letto e biancheria sporca nei cassetti della biancheria pulita, ma era il mio carattere e presto ci si sarebbe abituata.
Sicuramente il giorno più atteso della settimana era sabato: i miei uscivano sempre fuori, e in caso di bisogno avrei potuto contare sulle due sorelle. Casa mia divenne il ritrovo "in" del quartiere, avevo delle buone amicizie e buoni amici, si suonava la chitarra, si scherzava, ogni tanto c'era un pò di pomicio, ma quello che veramente contava era che il padrone di casa ero io, e non più mamma e papà come quando abitavamo ancora nel vecchio residence.
Fu una sera che cominciai a sentire strani rumori dal piano di sopra: ero appena andato a letto, pronto ad affrontare una nuova giornata, avevo riscaldato la stanza con la stufetta di papà, e nel bel mezzo del torpore che ci prende per addormentarci sentii dei rumori metallici ,come molle di ferro che si piegavano facendo quel gnek gnek dei cartoni animati... era uno gnek forte, pensavo che fosse il mio letto, ma non poteva essere perchè il materasso era tenuto da doghe di legno e il legno non fa certo gnek. Mi alzai, bevvi un pò d'acqua, mi scrollai un pò e andai in bagno a sciaquarmi la faccia. Tornai a letto, mi riaddormentai e feci uno strano sogno, che poi si rivelò premonitore. Ero al terzo piano, aprivo la porta e venivo investito da qualcosa di duro, come se la porta mi sbattesse in faccia o mi fosse stato lanciato un comodino.

Raccontai l'indomani ai miei quello che era successo, ma poco mi credettero e pensarono di affittarlo: e fu proprio il primo affitto a farli ricredere, perchè tempo prima che lo facessero i rumori del terzo piano si facevano forti e distinti.
Una notte si spostava un armadio, delle sedie, addirittura un tavolo da biliardo con tanto di palline, una stufa e i rumori erano così agghiaccianti che faticavo a dormire e pregavo, pregavo, per poi svegliarmi al mattino e preoccupare mia madre.
Il signor Hutter, tedesco di Germania, era un danaroso professore di lingua tedesca che cercava ein locale piccolo und confortevole per dimorarvi e ricevere ripetenti di lezione; a me apparve simpatico e le due sorelle ebbero un cliente in più al quale ordinare la casa. Ma non passò molto tempo che Hutter mi confidò di strani avvenimenti in casa sua: un pomeriggio di lezione ebbe la sensazione che la lampada ad olio sul mobile del soggirono si muovesse in diagonale per tre volte e tornasse a suo posto, facendo zig zag; il tavolo da biliardo, col quale aveva giocato poche volte in compagnia di amici, giocava da solo e faceva fluttuare le palline; l'armadio della stanza da letto, poi, aveva lasciato dei segni sul pavimento, come se fosse stato malamente spostato e alcune delle ante si aprivano o venivano trovate aperte senza che nessuno l'avesse fatto.
Con Hutter al piano di sopra mi sentivo al sicuro, ma i fatti che gli accadevano mi fecero rabbrividire ancor di più. E capitò che ne parlassi con Brigida, un pomeriggio di straordinario per lei. Era a casa mia per pulire il soggiorno e mentre spolverava gli scaffali del mobile di fronte il divano le raccontai delle strane esperienze che il signor Hutter aveva vissuto. Rise ma non so come, poco dopo, si fece seria e mi disse: "Io posso fidarmi di te, lo so. Se ti raccontassi la storia della palazzina ci crederesti?". Avrei creduto a Brigida in tutto e per tutto e così cominciò:
"Qui viveva una famiglia poco agiata, piena di debiti e disperata: il marito era un operaio forzuto e beone, manesco e irascibile, la moglie era una sarta ben voluta dalle sue clienti; avevano una bambina di nome Fioristella, dolce e premurosa, che sembrava possedesse poteri magici. Una volta guarì un gatto appena travolto da una macchina, risanò il ginocchio di un suo amichetto che se l'era sbucciato e, cosa incredibile, guarì la madre da una febbre che a quei tempi era considerata mortale.
Il padre, intutiti i poteri della figlia, volle esibirla come fenomeno da baraccone, così da poter raccogliere denaro sufficiente a saldare i debiti. La madre si oppose con tutte le forze ma le violenze del marito su di lei prevalsero: Fioristella era costretta a esibirsi come prodigio, isolata dai suoi amici e dalla sua mamma. Una notte, di ritorno dall'osteria, il padre venne accoltellato a morte dalla madre della bambina, stanca e distrutta dal male che lui aveva fatto. La bambina assistette alla scena e lo shock fu così forte che ne morì...".
La storia mi lasciò con un groppo in gola che si sciolse quella sera stessa, quando accadde l'irreparabile.
Erano le dieci e mezza, ero in camera mia a leggere un fumetto quando sentii Hutter gridare in tedesco e poi nella mia lingua frasi come "No, fermo, fermo, cosa fai?" seguite da rumori fortissimi e potenti, come se qualcuno gli stesse distruggendo il mobilio, ed era proprio ciò che stava accadendo!
Mi precipitai da Hutter, trovai la porta aperta ma quella mi si chiuse in faccia e caddi a terra con un rivolino di sangue dal naso; mi fiondai dentro e vidi Hutter lottare contro una forza invisibile che gli scagliava addosso tutti gli oggetti che incontrava, riuscì pure a sollevare il tavolo da biliardo trascinandolo e facendolo lievitare a mezz'aria!
Mi parai davanti a lui urlando di smetterla, ma buscai un forte ceffone e rimasi stordito per un bel pò.
I miei erano appena entrati e già se ne volevano andare a gambe levate, giunsero anche Brigida ed Elsa, che si scostarono e cominciarono a pregare, seguite dai miei.
Io e Hutter passamo un'ora circa a scansare oggetti e rimetterli a terra col peso dei nostri corpi, ogni tanto anche la forza invisibile si stancava e si contentava solo di lanciare libri strappandone le copertine. Seguì un lungo silenzio, sentimmo i mormorii delle preghiere ed ecco che una luce di colore azzurro si sprigionò per tutta la stanza, fortissima e accecante e mi sembrò di vedere una piccola ombra prendere per mano un'ombra più grande, tutto questo in mezzo a pianti e lamenti. La luce scomparve, una mela di cera rotolò per la stanza, era tutto finito. Abbracciai i miei e scoppiai a piangere. E le lacrime versate quella sera in quella stanza del terzo piano sembrano essere state impresse sul pavimento tanto era la paura che le aveva scaturite.

Domenico Rizzo