Angoscia

Stava lì, davanti a me, con l'aria di chi volesse interrogarmi.
Sembrava arrabbiato.
Arrabbiato e confuso.
Forse combattuto tra ciò che vedeva e ciò che credeva di vedere.
Il dubbio, sempre quello.
Quel dubbio che ti lacera dentro, che ferisce l'anima con la silenziosa facilità di un bisturi.
Glielo si leggeva nei solchi della fronte, nella smorfia tirata delle labbra, in quegli occhi profondi e accusatori.
Distolse lo sguardo, verso i suoi piedi, in un angolo, sul comò.
Irrequieto, teso, fremente.
Continuai a fissare quel volto, impassibile.
In paziente attesa.
Lo conoscevo bene.
Non era in grado di tenersi dentro a lungo quello che lo tormentava.
I pugni stretti, a malapena trattenuti, puntò di nuovo lo sguardo su di me.
Un angolo della bocca tremava impercettibilmente.
Era il segnale.
Stava per cedere, per riversare fuori tutta la sua disperazione.
Con la fredda rassegnazione dell'abitudine, guardai un'ultima volta la parete imbrattata di sangue, il letto parzialmente coperto da informi arabeschi rossi, i rivoli rappresi allungati verso il pavimento macchiato.
E il corpo.

Così dilaniato da essere irriconoscibile.
Nient'altro che un ammasso nausebondo di carne mutilata.
Solo quell'odore pungente di interiora profanate a ricordare una vita ormai abbandonata.
Provai a rabbrividire ma non ci riuscii.
Non potevo.
-Che cazzo hai fatto di nuovo... CHE CAZZO HAI FATTO?!!-
Esplose.
Feroce come una lama.
Rimasi in silenzio.
-TI AVEVO DETTO DI SMETTERLA, CRISTO! TI AVEVO DETTO DI FARLA FINITA!!!-
Mi stava addosso, pericolosamente vicino.
Potevo quasi sentire le vibrazioni di collera che emanava.
Sperai che mi colpisse, che la facesse finita.
Cercai di dirmi che quella sarebbe stata la volta buona.
Ma non successe.
-Non sono stato io!-
Era vero, lo sapeva.
Doveva saperlo.
-Patetico surrogato di un uomo... CHE CAZZO VUOL DIRE NON SONO STATO IO?!!-
-Non inveire contro di me!-
-NON DIRMI QUELLO CHE DEVO FARE, MENTECATTO!!!-
Silenzio.
Solo il suo respiro sibilante.
-Perchè lo fai?-
-Lo sai, perchè!-
-NO CHE NON LO SO, DIMMELO!!-
Ancora silenzio.
-Perchè?- chiese di nuovo, la voce ridotta a un freddo, strisciante sussurro.
-Ma non vedi come ti sei ridotto? Non vedi il sangue che ti sporca la faccia... quale... quale assurda parodia di un animale sei diventato?! MI FAI SCHIFO!!!... come... come fai a non capire... A IGNORARE QUEI BRANDELLI CHE TI PENDONO DALLA BOCCA...?!!!-
Si allontanò di un passo, stremato.
Rimase così per un pò, come indeciso se farmi a pezzi o uscire dalla porta e non tornare mai più.
Si trascinò invece verso la finestra.
Le spalle piegate in avanti, le braccia sfinite lungo i fianchi.
Fuori era già buio.
Quando tornò a parlare la voce era calma in maniera quasi innaturale.
-L'unica cosa che ti salva è questa cascina in mezzo alla campagna, lo sai vero? Mi chiedo solo come fai a portarle fin qui senza farti vedere...- disse rivolto alle tenebre.
Si girò di nuovo verso il letto, la sua ombra proiettata sul vetro opaco.
-Mi chiedo come cavolo fai...-
Quando di lì a poco cominciò a pulire avrei voluto aiutarlo.
So io quanto avrei voluto.
Ma non mi era dato fare neanche quello.
Non potevo far nulla per ripulire quello scempio, per bonificare quella stanza grigia e umida.
Per sottrarmi alle urla imploranti che mese dopo mese ne laceravano l'aria.
Avrei voluto perchè non ne potevo più di tutta quell'angoscia.
Di quella assurda follia che non aveva pietà nemmeno della morte ma... no, non potevo.
Perchè sono solo uno specchio.
Consunto e sbilenco e condannato per sempre a marcire in questo angolo sperduto del mondo.
E uno specchio può riflettere l'orrore, non porvi fine.

Alessandro Tantucci