Spaventapasseri

Il corpo di suo padre non era mai stato ritrovato.
Era scomparso in una calda sera d'estate, mentre lui e sua madre erano stati mandati dalla zia Gothe, nel Vermont. In verità era stato proprio suo padre ad ordinargli di andare a trovare l'anziana signora.
Lui era rimasto a coltivare i suoi campi. Alla polizia che li aveva interrogati avevano entrambi riferito che da qualche tempo era strano. Ed era vero, anche lui, che al tempo aveva solamente dieci anni, se ne accorse.
Ma tutto quello accadde nel quarantacinque, adesso a distanza di circa cinquant'anni, aveva scordato quasi tutto. O almeno credeva.

 

Il caldo era opprimente e piccole perle di sudore gli impregnavano la fronte. Non aveva nessun cappello e la sua faccia era rossa, a causa del sole. Era seduto tranquillamente sul proprio trattore, sobbalzando ad ogni imperfezione della terra. Ogni tanto, per fortuna, si sollevava qualche folata refrigeratrice, che gli dava un enorme sollievo e gli faceva capire che in fondo la vita è un dono e va vissuta in ogni attimo.
Un paio di uccelli erano appollaiati su un ramo, protetti dalla folta chioma verde e sembravano quasi che lo stessero osservando, scrutando e criticando.
Gli sorrise vedendoli e poi, voltandosi, continuò nel proprio lavoro. La giornata era stupenda: nel cielo di un chiaro azzurro, non vi erano nuvole e il silenzio sembrava dominare quella parte di campagna.
Tutto sembrava essere in armonia nonostante quello che stava per accadere.

Jacob smise di lavorare quando ormai il sole era una grande palla rossa che si avviava a tramontare. Depositò il suo trattore ed entrò in casa.
Le terra che aveva arato la mattina e il pomeriggio, aveva assorbito tutto il calore del giorno ed adesso, nella sera stellata, con il rumore continuo di qualche grillo, emetteva quel calore.
Ma qualcos'altro si stava alzando dalla terra...
Uno sguardo presente avrebbe visto spuntare, quasi come un fiore qualcosa lungo più di mezzo metro. Ne avrebbe visti molti... Per tutto il campo.
E qualcosa c'era ad osservare quella scena: una splendida luna, luminosa e superba.

 

Il giorno seguente Jacob si svegliò molto presto e poi, velocemente rimontò in sella al trattore. Amava quel periodo, così colorato e caldo (opprimente quasi) e in fondo amava quello che la sua famiglia faceva da tantissimo tempo: lavorare la terra.

 

Giunto ad attaccare il campo, bloccò di colpo il trattore, avvertì la forza che lo spingeva in avanti per poi farlo atterrare nuovamente contro il sedile e sentì chiaramente lo sbuffo che emise il radiatore. Li avvertirono il suo corpo queste sensazioni, ma non giunsero alla sua mente; la sua bocca era aperta, il suo sguardo perso ed incantato.
Deglutì.
Abbassò lo sguardo e lo rialzò poco dopo.
C'erano ancora.... Ma come era possibile tutto quello. Inizialmente credette che stesse ancora dormendo, che quella non era la realtà, ma poco dopo si autoconvinse del contrario.
Deglutì.
Scese dal trattore e corse in casa.
La sua faccia era sconvolta, il suo cuore aveva iniziato a battere forte e le sue mani, nonostante fosse luglio e il termometro segnasse trenta gradi a metà mattina, erano fredde.
Una domanda gli sorse spontanea prima di chiudersi dietro la porta: Che cosa diavolo ci facevano delle braccia umane che spuntavano dal suo campo?

 

Passò tutto il pomeriggio a chiedersi che cosa fossero... Non potevano certamente essere veramente delle braccia umane.
Non mangiò, ma riuscì, stremato, ad addormentarsi sulla sua poltrona in feltro.

 

Si svegliò quando ormai la luce era scura e la sua casa era mezza immersa nell'oscurità.
Ma non ebbe il coraggio di uscire.
Così non vide che altre protuberanze spuntarono dal terreno. E molte di più.

 

La mattina seguente si sentì rigenerato. Stava meglio e decise che quello che era accaduto il mattino precedente era solamente un fuorviamento mentale dovuto al troppo sole.
Così si mise il cappello di paglia e fischiettando uscì.
Ma il suo fischio si interruppe quasi subito. Già in lontananza poteva vedere che le protuberanze c'erano ed erano anche aumentate...
Entrò nuovamente in casa e la sua mente fu più volte sul punto di vacillare tra la sanità mentale e la pazzia.
Prevalse la prima.

 

Nella notte la terra diede altri frutti.

 

La mattina seguente Jacob ebbe il coraggio di osservare il campo solamente da debita distanza, osservando le protuberanze da dietro la tenda cucita, tantissimo tempo prima da sua madre.

 

La sera stessa spuntarono quelle che il giorno seguente Jacob credeva essere le gambe sinistre.

 

Così rimase altri due giorni chiuso in casa, ad osservare il suo campo da lontano giorno e sera.

 

Il terzo giorno si sentiva meglio. Erano due notti che non vi erano sortite di protuberanze dalla terra e pensava che se fosse continuato così tutto si sarebbe risolto per il meglio.

 

La sera si avvicinò alla finestra. Era ormai divenuto un gesto abituale in quei giorni. Osservò fuori.
Le protuberanze erano le solite, avvertiva i grilli che cantavano e vide anche chiaramente la luna che illuminava il suo spaventapasseri....
Un dubbio gli attanagliò le viscere, le stritolò e le rilasciò.
Il cuore riprese a battere fortemente e per un attimo si scordò anche di respirare.
La sua mente fu categorica nell'esporre il motivo di tanta paura: Ma tu non hai mai avuto uno spaventapasseri....
Giustamente il campo era stato appena arato e le sementi non erano state ancora depositate; perchè mettere uno spaventapasseri?
Ma se non era uno spaventapasseri, che cos'era allora?
La figura che si presentava davanti a lui, lontana era inquietante sotto la luce della luna.
Il cuore prese a battergli. Intuiva che quell'essere doveva essere molto in relazione con le braccia e le gambe che erano spuntate le notti precedenti. Scosse la testa e sotto una scossa di brividi si diresse a letto.

 

Il giorno seguente lo passò ad osservare quell'essere.

 

Il pomeriggio cercò di dormire, ma venne continuamente assaltato durante il sonno da strani incubi.

 

La sera non osò guardare.

 

E quando la mattina seguente si trovò tre esseri che guardavano la casa da debita distanza, simili all'altro, il mondo gli crollò addosso.

 

I giorni seguenti non uscì dalla cucina. Aveva raccolto tutte le provviste (anche se mangiava pochissimo) e aveva lasciato solamente la porta del bagno socchiusa.
Sulla porta a vetri l'unica cosa che aveva potuto fare era stata quella di tirare le tende.

 

E proprio nei giorni seguenti gli esseri si moltiplicarono. Li contò alla quarta sera: 54.

 

Cinquantaquattro esseri disposti sul suo campo.

 

Ma per fortuna, nei tre giorni a seguire non aumentarono. Rimasero stabili nel numero.

 

Ma al quarto avvenne un nuovo fatto strano. Fu più una sensazione. Terribile, se vera. Infatti, aveva la vaga impressione che gli esseri si erano....

 

....mossi.

 

Non di molto, si disse, ma avevano fatto circa due metri in direzione della casa.

 

Passarono i giorni e le notti, la sua barba era molto incolta (aveva provato a rasarsela più volte, ma ogni volta, a causa del tremito della mano, si era tagliato) e gli esseri erano a meno di sei metri da casa sua. Dedusse che tempo due notti e sarebbero stati alla porta.

 

Il giorno seguente passò tutto il tempo alla finestra ad osservare, quasi incuriosito i volti degli esseri: erano facce che tendevano al verde chiaro, la pelle gli aderiva alle ossa e sembravano con i loro occhi vuoti, osservarlo. I loro vestiti erano logori e polverosi.
Erano immobili durante il giorno, quasi in uno stato di quiescenza. Jacob capì che il momento stava per giungere.

 

La mattina dopo si svegliò di buon ora. Li osservò e vide che erano come li aveva lasciati la sera precedente. Mangiò qualcosa, pensò, ma poi, verso mezzogiorno e mezzo, seduto sulla sua poltrona, venne colpito dal torpore e si addormentò.

 

Sognò esseri, mostri e se stesso.

 

Così quando sentì chiaramente il rumore di un vetro che si infrangeva, non capì immediatamente se quel suono appartenesse alla realtà o al sogno.

 

Ma quando ne avvertì un secondo, tutti i suoi sensi si riattivarono e i suoi occhi mirarono direttamente alla porta. Il sangue gli si gelò nelle vene. Fuori era calata la sera e quegli esseri si stavano muovendo. Molti stavano osservando incuriositi l'arredamento della casa, ma altri, furiosi, stavano infrangendo la porta a vetri.
Jacob, rimase immobile. Era completamente impotente di operare.
In quel momento lo scheletro in legno della porta cadde e a separarlo dagli esseri vi era solamente una mezza e lacera tendina bianca.
La cantina.
Non capì se quella voce gli fosse stata rivolta dalla sua mente, dal suo cuore, dal suo cervello o da qualche essere trascendente esterno, ma chiunque fosse stato gli aveva appena dato una via di fuga.

 

In vita sua non era mai entrato nella cantina da quando aveva sei anni. Subito dopo la morte di suo padre, sua madre gli aveva categoricamente proibito di entrarvi, anche perchè non c'era niente: né vino, né giocattoli, né ricordi. Solamente qualche scatola vuota e basta.
Ma in quel momento gli sembrò il luogo più sicuro. Era difficile che lo trovassero e se non ricordava male la porta era in ferro e anche di un bello spessore. Li avrebbe sfidati a buttarla giù....
E mentre correva verso la cantina, si mise inspiegabilmente a ridere...

 

La chiave era accanto alla porta. La impugnò con qualche difficoltà, la inserì e la fece scattare aprendo la porta.

 

Così si tuffò dentro ed attese.

 

Accese la lampadina alla sua sinistra, chiuse a chiave la porta in ferro e si osservò attorno. Davanti a lui vi era una rampa di scale che portava alla vera stanza.

 

Discese gli scalini e rapidamente si portò al centro, sotto il fascio di luce. Si guardò attorno. Era vero ciò che diceva sua madre: non c'era molto da vedere in quella cantina. Ma quando il suo sguardo cadde in uno dei quattro angoli bui, venne nuovamente colpito dal panico: un essere era seduto, nella penombra e sembrava proprio osservarlo...

 

Credeva di essere sul punto di morire: il respiro gli si bloccò e il suo volto divenne prima bianco per lo spavento e poi rosso per le convulsioni. Si riprese.
L'essere era sempre immobile... Aveva qualcosa di diverso dagli altri.... Sembrava essere....
Si avvicinò. Non seppe mai come trovò il coraggio di farlo, ma lo fece. Quattro passi e capì....

 

Si ritrovò nella giusta prospettiva affinché la luce illuminasse l'essere. Era a meno di un metro e vide chiaramente tutti i particolari. Quello non era un essere come gli altri... Quello che aveva davanti era uno scheletro di un uomo...

 

Ma di chi?

 

- Tuo padre non tornerà, Jacob. -

 

- Signora, come era vestito suo marito? -

 

- Penso che avesse i pantaloni gialli che gli abbiamo regalato io e mio figlio per il suo compleanno.... e una maglietta rossa.-

 

- Era strano papà prima di andarsene...-

 

- Non entrare mai nella cantina...-

 

- Sospendiamo le ricerche-

 

- Non entrare mai in cantina....-

 

Tutti quei dialoghi, fatti per quanto poteva ricordare qualche migliaio di anni prima, gli invasero la mente nell'attimo stesso in cui vide lo scheletro e osservò i suoi pantaloni gialli e la maglietta rossa...

 

Quello era suo padre.

 

Dunque anche lui, suo padre, aveva vissuto lo stesso tipo di evento che lui stava adesso vivendo.
E anche suo padre si era rifugiato in cantina.

 

E suo padre era morto in quella cantina.

 

A distanza di un giorno, avvertì chiaramente le pesanti mani degli esseri che si battevano contro la porta in ferro. E sentiva le loro voci, i loro lamenti, le loro grida.

 

E anche lui, Jacob Marion, figlio di Walter Marion, morì lì.

 

Ma se uno sguardo esterno avesse osservato il tutto avrebbe visto che nessun braccio era spuntato dal terreno, nessuna gamba era sorta; nessun essere si era presentato come uno spaventapasseri. E niente era entrato in casa di Jacob...

 

...E nessun lamento si era mai levato...

 

...A parte quelli di Jacob assalito dalla pazzia...

Alessandro Pieralli