L'entomofago

Deliziosi, i pappataci.
Se conditi con una salsa piccante e un goccio di bianco frizzantino, mmm, che delizia per il palato. Ah, che maleducato che sono, non mi sono presentato. Mi chiamo Ethan Torpe, degustatore di insetti dall'età di dodici anni. La mia passione e la mia arte culinaria sono molto apprezzate qui a Montreal: il sindaco, per esempio, va ghiotto di lumache fritte e vermi al curry, e sua moglie, cara signora, mi adora quando le preparo la mia specialità: stercoraro in salsa segreta.
Ho cominciato durante una spedizione in Africa, con mio padre, un esploratore scrupoloso e saccente: ci perdemmo nel cuore della foresta durante una battuta di caccia organizzata dal suo collega Flint Leroy, un grassone amante della caccia, con due baffi che sembrano le chele di un granchio. Io cercavo mio padre, lui cercava me, Leroy cercava entrambi perchè mio padre aveva le chiavi della jeep che ci avrebbe riportato al campo. Passai la notte all'addiaccio, coprendomi con un enorme foglia: piangevo, avevo fame, pensavo che a quest'ora quel porco di Leroy si stesse spolpando un cinghiale intero in compagnia di qualche bracconiere, lasciando al mio caro papà le briciole degli avanzi...quand'ecco che lo vedo. Era grosso, rotondo, le zampette gracili e il corno blu cobalto. Era lui, lo stercoraro che avevo visto sul mio libro di scienze: era così paffuto che avrei voluto mangiarlo, ma l'idea mi ripugnava. Lo tenevo tra le mani, mi faceva il solletico, smisi di piangere e cominciai a giocarci. Prese una pietruzza, e cominciò a farla rotolare pian piano, da vero stercoraro.

Mi tornò il sorriso, ma anche la fame: intanto mio padre era tornato all'accampamento, come mi riferì alla fine della brutta avventura, organizzò subito una ricerca che durò tutto il giorno, fino a quando non mi trovarono. Prima che lo facessero, io continuavo ad ammirare quel meraviglioso insetto così bello, che avrei voluto tenere come animale domestico e fare un figurone alla prossima mostra di scienze: ma un rivolo di bava e il languore dello stomaco tradì la nostra sperata amicizia. Tutto d'un colpo, come quando devi mandar giù un sorso d'olio di ricino, lo misi in bocca e masticai forte, forte, da mordermi la punta della lingua e ingoiarlo tutto d'un fiato: mi sentii strano, la mia bocca sapeva di un sapore dolciastro, come il miele amaro. Passai varie volte la lingua sul palato, ma quel sapore non se ne voleva andare, e fu in quel momento che mio padre mi ritrovò e si buttò su di me per abbracciarmi.
Tornammo in Canada, riprendemmo la vita di sempre: io a studiare, mio padre a scrivere.
Ma quello spuntino dettato dalla voracità nella foresta, quello continuava a tornare in mente spesso: a poco a poco diventai vegetariano, rifutai ogni tipo di carne, anche il pesce, solo verdura; andammo spesso dal dottor Fratt per farmi visitare, e lui continuava a ripetere "il ragasso sta bien, pas di preoccuparvi". A scuola continuavo ad eccellere,ma non potevo fare a meno di fissare il formicaio del laboratorio di scienze: mi passavo la lingua sulle labbra pregustandomi la regina e qualche sua serva. Un pomeriggio lo feci,e ne rimasi soddisfatto, non vi dico la faccia del mio professore quando notò l'assenza della padrona di casa. Passò il tempo, mi diplomai e all'università mi laureai in...beh, lo sapete sin dall'inizio.
Mio padre e mia madre non riescono ancora a capire questa mia passione per gli insetti, sperano che almeno i nipotini ne sappiano ricavare qualcosa: intanto continuo a coltivare questa mia deliziosa passione facendomi conoscere in tutta la città.
Quando taglio in due un grillo e lo faccio saltare nella padella, quando servo una locusta croccante al rosmarino, quando lavo i vermi e li condisco al curry con un cucchiaio di tabasco, quando insomma mi dedico alla mia cucina mi sento Dio.
Non vi dispiace se vado, ho ospiti a cena: due senatori e una ambasciatrice.
Arrivederci.

Domenico Rizzo