Mutante!

L'oggetto era ancora più strano di quanto fosse apparso nelle radiografie.
Il chirurgo lo sollevò con le pinzette, poi lo deterse con delicatezza del sangue che lo ricopriva, usando un brandello di garza. L’aspetto era quello di un proiettile, ma irto di piccoli ami ritorti.
In tutta la sua carriera presso il Policlinico e le migliori Case di cura private della città, Giorgio Atzori aveva estratto dai corpi dei pazienti i reperti più impensabili, ma mai qualcosa di simile al frammento di metallo che ora brillava sotto la lampada.
Né di così sinistro.
Con cautela persino eccessiva depose quello strano coso nel contenitore standard di reperti per l’autorità giudiziaria, ricevendo come rassicurante risposta un normalissimo tintinnio. Poi, mentre un’infermiera lo aiutava a sfilarsi camice e guanti, si soffermò a guardare Susanna, china sul lettino, che intanto si dava da fare con ago e filo da sutura per ricucire in qualche modo il lavoro del bisturi.
"Avrà sì e no trent’anni, ed è anche piuttosto carina … "
pensò Giorgio, massaggiandosi gli occhi gonfi e dolenti.
L'effetto che immancabilmente gli faceva passare qualche ora sotto la luce gelida e al tempo stessa abbagliante di una lampada da camera operatoria.
"Però con quegli occhialini rotondi cerchiati d’oro, e i capelli castani raccolti sulla nuca in uno chignon d'altri tempi … "
Per semplice associazione d'idee la regia che governava pensieri e ricordi rimandò in onda per l'ennesima volta l'immagine ancora nitida di zia Filomena, quando se ne stava per interi pomeriggi vicino alla finestra a ricamare corredi su corredi per le nipoti ancora da sposare.

Però l’ultimo sguardo prima di prendere commiato dal resto dell'equipe lo riservò per il dottor Massenti, l’anestesista: era un pezzo d'uomo pingue e peloso come un orso bruno, dal carattere schivo, ma dotato di un'umanità e di una dedizione al lavoro assolutamente rimarchevoli.
Eccolo lì, ancora intento a trafficare con provette e vetrini, con la consueta solerzia, ma col viso stavolta verniciato di quel grigio scetticismo di chi non crede troppo, lui per primo, di riuscire a portare a buon fine l'oggetto di tanto impegno.
"Perfettamente logico. "
fu il silenzioso commento di Giorgio.
Già.
L’elettroencefalogramma del ferito era desolatamente piatto già dal momento in cui l’ambulanza l’aveva scaricato giù al pronto soccorso, e quella linea luminosa verde che attraversava il monitor più grande, dritta come un’autostrada, non si sarebbe mai più increspata per lui.
Miracoli a parte, si capisce, ma questo è tutto un altro discorso.
Quanto a Susanna... be', lei sarebbe stata occupata ancora per almeno mezz’ora, prima di riuscire a mollare giù tutto e ad andare a farsi di caffè alla macchinetta del terzo piano: a Giorgio sembrava quasi di vederla, con il bicchierino di plastica bianca in una mano e un Buondì Motta nell’altra, intenta a fissare le screpolature dell'intonaco bianco del muro, persa dietro a chissà quale delle sue imperscrutabili fantasie.
"Quanto a me preferisco il cappuccino schiumoso e le brioches alla crema del mitico Bar della Minerva. "
decise Giorgio, puntando verso il soffitto l'indice della mano destra.
"E puoi scommettere che sarà proprio lì che tra poco andrò a fare colazione. "
Appena fuori dalla sala operatoria si guardò attorno con la circospezione di un agente della CIA nel giardino di Saddam Hussein.
Solo quando si fu accertato che nessuno potesse vederlo (c'era un cartello con scritto VIETATO FUMARE in ogni angolo dell'ospedale!) estrasse dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di Camel e lo Zippo riportato indietro come souvenir da Los Angeles, quella volta che c'era andato per il congresso mondiale di chirurgia vascolare.
Ogni volta che prendeva in mano quell'accendino non poteva fare a meno di ricordare che gli era costato sessantanove dollari e novantacinque centesimi.
E sei mesi di strizza.
Anzi, esattamente centottantaquattro interminabili giorni, per essere precisi: cioè fino a quando l’ennesimo referto del laboratorio di analisi aveva definitivamente escluso che si fosse beccato la sindrome dalla bionda bagascia made in U.S.A. che una bella mattina, senza ricordare né perché né come, si era ritrovato tra le lenzuola in albergo.
Aspirò profondamente la prima boccata di fumo, che trattenne dentro finché non fu sicuro che nicotina e catrame si fossero spalmati ben bene sulle pareti di bronchi, bronchioli e polmoni. Con la schiena poggiata alla parete e gli occhi chiusi cercò di rilassarsi: niente da fare, per quanto ci provasse gli riusciva del tutto impossibile non tornare con la mente all’intervento appena concluso.
Il tizio era arrivato alle undici della sera precedente, quando Giorgio aveva preso servizio da poco più di mezz’ora.
Cribbio, va bene tutto, ma un macello così non gli era capitato di vederlo neppure in quel film di Romero, "La notte dei morti viventi" … C’era così tanto sangue che non si capiva neppure quale era il davanti e quale il di dietro: alle infermiere del pronto soccorso c’erano voluti cinque minuti solo per ripulire la voragine che quel poveretto si ritrovava nell’addome dai frammenti stracciati della camicia.
Il più giovane tra quelli che componevano l'equipaggio dell’ambulanza aveva avuto il tempo di raccontare di come avessero trovato il ferito in casa sua seduto sulla tazza del cesso, con le mani infilate nelle interiora esposte alla luce del tubo al neon, che frugava come se stesse cercando di estrarre un numero della tombola.
Poi, chiedendo educatamente scusa a tutti i presenti, l'infermiere si era messo la mano sulla bocca e aveva vomitato l’anima proprio sulla punta delle scarpe a barchetta della ferrista.
Cinque o sei fotografie ai raggi x, ed era cominciata l’operazione: dopo avere visto svuotarsi la terza sacca di plasma Giorgio aveva deciso di non tenere più il conto delle trasfusioni che si rendevano via via necessarie per andare avanti, occupato com’era a rimettere insieme organi lacerati, a riallacciare arterie recise, a ricostruire i frammenti di un intestino che rassomigliava troppo a un puzzle di Mordillo.
Ma erano successi due fatti strani, sui quali sarebbe sicuramente tornato a riflettere, nei giorni seguenti.
Il primo era che, per quanto fosse stato per più di quattro ore e mezza alle prese con quel disastro, non era riuscito a trovare il foro d’entrata: con ogni evidenza qualcuno si era accanito con un coltello, un cacciavite, con le unghie, vai a saperlo!, allargandolo in modo tale da distruggere ogni traccia visibile della prima offesa. E in tutto questo la circostanza ancora più raccapricciante, se possibile, era che ogni indizio sembrava avvalorare l'ipotesi che l'uomo stesso avesse contribuito in modo determinante a quella cruenta opera di distruzione.
Il secondo
(ma no, questo era molto, molto duro da digerire … e se per puro caso un giorno avesse deciso di raccontarlo a qualcuno, Giorgio si sarebbe guardato bene dal fare menzione dei due bicchieri di Vernaccia e dell’amaro che si era concesso al ristorante nel corso della cena, prima che lo richiamassero d'urgenza in ospedale) invece era poco più che una sensazione.
All’inizio gli era sembrato … no, porca miseria, aveva visto!, che il proiettile, o cosa diavolo era, incastrato tra il piloro e il duodeno.
Poi c’era stata l’ennesima emorragia, un rigurgito improvviso, un gorgoglio di bolle vermiglie che aveva nascosto tutto, né più né meno l’effetto che la domenica sotto la curva sud dello stadio Olimpico fanno i fumogeni giallorossi del Commando Ultrà.
E quando suor Maddalena aveva azionato l’aspiratore ripulendo per bene lo sbrego, il … il coso non era più al suo posto, ma spostato qualche centimetro più in là, infisso nel peritoneo così in profondità che se la luce della lampada non avesse causato un riflesso rivelatore, Giorgio neppure l’avrebbe più visto.
"Devo decidermi a dormire di più, di notte! "
aveva immediatamente giurato a se stesso, convinto, scuotendo il capo per snebbiare lo sguardo e allungando il braccio per estrarre via il fetente.
Ed era stato allora che gli era sembrato di vederlo …
FUGGIRE
sì, ecco la parola esatta.
Sotto i suoi occhi il misterioso oggetto aveva cominciato ad aprirsi la strada nei tessuti molli, muovendo come zampette gli aculei metallici, o qualunque altra cosa fossero, tale e quale a uno di quei piccoli, schifosi scarafaggi rossi, quando cercano di nascondersi nella sabbia.
Una reazione rapidissima, d’istinto, fatto è che nonostante il cervello non avesse ancora diramato istruzioni, la mano di Giorgio era partita rapida come una freccia e ZAC!, le pinzette avevano artigliato quella stranissima pallottola appena in tempo per impedirle di sparire arrampicandosi su per il pancreas.
- Ma è proprio così che è successo? -
borbottò, asciugandosi con il dorso di una mano il sudore freddo che gli imperlava la fronte e schiacciando con l'altra il mozzicone in uno dei posacenere da muro, reliquie dei bei tempi andati del Non Proibizionismo.
Chiaro che ora, nei corridoi dell’ospedale, immerso nel via vai di medici, paramedici, malati e visitatori come una trota nel suo ruscello, cullato dalla rassicurante routine di ogni giorno, lui non potesse fare altro che darsi dello stupido visionario, e non una volta sola.
Perché lo sanno tutti, che un proiettile sia un calibro 22, 38 perfino un 45 parabellum non è altro che un proiettile! Un pezzetto di piombo che, una volta che il percussore abbia fatto esplodere la polvere da sparo contenuta nel bossolo, spinto dallo scoppio viene espulso dalla canna di una pistola o di un fucile alla velocità di …
Ma, puttana schifosa!
Non era certo un avvenimento raro, in quella città e in quell’ospedale, imbattersi in ferite da arma da fuoco alle braccia, alle gambe, ai polmoni, e chi più ne ha più ne metta.
Una volta, quando l’inchiostro del giuramento di Ippocrate appeso nello studio ancora non aveva finito di asciugarsi, gli era capitato sotto i ferri un povero disgraziato che dopo vent’anni si era lasciato convincere dal cognato ad andare a caccia di lepri, e che aveva avuto la cattiva idea di accovacciarsi dietro a un cespuglio di more a concimare il bosco con i resti del pasto della sera precedente.
Gli avevano sparato in due.
Ora come ora Giorgio non ricordava più con precisione se i pallini che aveva estratto dalle natiche di quel malcapitato fossero stati settantadue o settantatre.
"Ma che mi venga un colpo se mi è mai successo … "
GRAA - GRAA - GRAA
Le sue riflessioni furono bruscamente interrotte dalla sirena dell’allarme medico.
Un suono che voleva dire che proprio in quel momento qualcuno se la stava passando molto peggio che male.
GRAA - GRAA - GRAAA
"INTERVENTO URGENTE DI RIANIMAZIONE A CHIRURGIA DUE! "
intimò dall’altoparlante una voce di donna dolce quanto un caffè senza zucchero.
- Cazzo! Ma è proprio da lì che sono appena venuto fuori! -
imprecò Giorgio, voltandosi a guardare cosa diavolo gli stesse succedendo alle spalle.
Suor Maddalena, che era uscita poco dopo di lui, tornava precipitosamente indietro, tenendo con le mani la tonaca alzata sulle ginocchia per correre meglio: quindi non era certo difficile fare due più due e indovinare per chi stesse suonando il gong.
- Mi dispiace davvero, amico, ma quello che potevo fare l'ho già fatto: adesso non mi rimane che augurarti buon viaggio. -
mormorò, assorto.
Una scrollata di spalle sottolineò la decisione di proseguire dritto in direzione dello spogliatoio.
In fin dei conti era già tanto che quello sventurato fosse rimasto in vita fino al termine dell’intervento: e tanto meglio per lui se l'ineluttabile destino finale si fosse compiuto al più presto, dopo tutto, perché con quel genere di ferite …
La cosa non era più nel porta-reperti di metallo.
Allungando un po’ uno degli uncini le era stato facile issarsi fuori dalla scatola di metallo e rotolare sul piano di plastica del carrello, fino ad avvicinarsi così tanto al bordo da potersi agganciare allo svolazzante camice verde dell'uomo.
Altri due minuscoli rampini l'avevano aiutata a scendere giù fino all’orlo, dopo di che aveva ripreso a muoversi, questa volta verso l’alto, arrampicandosi dall’interno, protetta da ogni sguardo indiscreto dallo stesso tessuto che stava scalando.
Veloce, ma sempre attento a non farsi scoprire dal nuovo inconsapevole anfitrione, il misterioso ospite aveva fatto appena in tempo, prima che l’uomo si svestisse e uscisse dalla camera operatoria, a schiacciarsi sotto la cintura di cuoio dei pantaloni.
Ora, attraverso un microscopico ugello, più sottile di qualsiasi ago impiegato in medicina, ricoperto dalla pelle che istantaneamente si era cicatrizzata dopo il suo ingresso nel corpo, l'essere iniettò una soluzione anestetica, e finalmente cominciò a scavare nella carne morbida, nel sangue caldo.
Con un gesto meccanico Giorgio si grattò la schiena, poco più di quattro dita in alto e a destra del coccige.
Inutilmente.
Il prurito veniva da molto, molto più dentro.

Patrizio Pacioni

Patrizio Pacioni nasce a Roma tra la fine della seconda guerra mondiale e la crisi dei missili Cubani. Dal 1990 è in giro per l'Italia, transitando da Milano, Cagliari, e infine Piacenza, dove attualmente risiede. Il primo libro pubblicato ("Un lungo addio" - Editrice Taurus) è un drammatico romanzo breve che narra nascita e morte di una passione incestuosa. Poi, dopo il secondo posto conquistato al Mystfest di Cattolica '97 col racconto "Ransette Primo", comincia, favorito dalle lunghe frequentazioni giallo/nere/horror con Lovercraft, Poe, King, Ed Mc Bain, Follet e soci una lunga scivolata verso climi e situazioni più vicine allo spirito di Scheletri. In Le Lac du Dramont (settembre 2000 / Editrice Nuovi Autori Milano) compare la simpatica setta demoniaca dei Fratelli Neri, mentre proprio in questi giorni per la stessa Casa Editrice esce "Chatters", storia scritta in stile non convenzionale di un serial killer che si diletta ad adescare giovani fanciulle in chat. Altre e più complete notizie potrete trovarle su www.patriziopacioni.it