Il demone del moto

di Stefan Grabinski - pagine 270 - euro 14,00 - Stampa Alternativa

Szygon è un tipo strano. Periodicamente si lascia prendere da una forma di sonnambulismo che lo porta a prendere il treno e a viaggiare verso una qualsiasi località lontana da casa. Ora si ritrova sul “fulmineo Continental” che corre sulla linea Parigi Madrid. E qui, prendendo spunto dalla velocità del mezzo, attacca bottone con il controllore sulla natura del moto e sulla madre di tutti i movimenti. Ma la storia, ovviamente, non finisce qui.
Si tratta di una delle dieci narrazioni fantaferroviarie (noir, fantasy, horror e fantascienza) che corrono rigorosamente sui binari di mezza Europa: quella dell’Est in particolare. In un caso le rotaie si snodano su un percorso davvero impressionante: vi si racconta, infatti, di un treno superveloce (l’autore scrive negli anni ’30, ma avrebbe già bene in testa l’alta velocità) che parte da Barcellona, costeggia tutto il bacino del Mediterraneo, e ritorna, dopo soli tre giorni, al punto di partenza.

Su una di queste corse, alcuni passeggeri vanno incontro a una avventura allucinante. Il treno, già arrivato sulla costa ligure, rallenta, entra in una gola e poi si ferma in una strana stazione dal nome sconosciuto: Buon Ritiro. Ma sono io a ritirarmi, a questo punto, per non svelare il finale.
Procedendo nella lettura, si passa da un mistero all’altro. Si viene a conoscenza degli strani poteri emanati da un binario morto. Le carrozze che vi hanno sostato sono a dir poco stregate, tanto che i passeggeri scendono alla spicciolata durante il viaggio, anche se non sono ancora arrivati alla loro destinazione. Rimangono solo i due protagonisti. Ma per vedere come va a finire, dobbiamo continuare l’itinerario con loro.
Poi c’è la vicenda del treno fantasma (se qualcuno pensa che non sia originale, ricordi che Grabinski, l’autore, la scrisse negli anni Venti; quindi sarebbe opportuno fargli tanto di cappello). Appare sulla linea quando e dove meno ci si aspetta di trovarlo, crea una grande confusione fino a mettere a dura prova tutta la pianificazione ferroviaria moderna. Alla fine si scontrerà con un altro treno. Ma bisogna leggere per credere, per rendersi conto che un regista cinematografico sarebbe impazzito a rendere visibile una simile catastrofe. Che sarà poi stata tale?
Ci sono altre storie: un casellante strambo fa la guardia a un tunnel nei Carpazi, senza mai vedere la luce del giorno; due amanti consumano la loro avventura trovandosi periodicamente sullo stesso treno; due ferrovieri s’incontrano in uno sperduto e misterioso capolinea fra le montagne; una sciagura viene misteriosamente preannunciata; un tizio ritrova l’amante e scopre che era morta un po’ di tempo prima, in un incidente ferroviario.
Insomma ce n’è abbastanza per soddisfare il lettore che ama il fantastico. Solo che costui deve essere disposto a viaggiare, ad ascoltare il monotono canto delle rotaie, sottoporsi allo sguardo sospettoso dei controllori, veder fuggire il paesaggio attraverso i finestrini. Il sottotitolo parla chiaro e mette in guardia: si tratta di fantaferroviaria.
L’autore polacco Stefan Grabinski (1889-1936) viene qui giustamente riscoperto in una gustosa raccolta che lui stesso aveva concepito in questo modo. Poco conosciuto, e a dire il vero anche un po’ sottovalutato ai suoi tempi, era un vero artista, uno scrittore dedito al fantastico e all’horror, tormentato dall’idea fissa di come possano convivere realtà e alterità, visto che quest’ultima è tanto impalpabile quanto incombente. Cultore di filosofia e di psicologia, ma anche delle scienze occulte, Grabinski ci ha regalato questo conturbante mosaico ferroviario, che diventa una metafora di quel mistero nel quale siamo immersi.
Voto: 9/10
[Giuseppe Novellino]

Incipit del racconto che dà il titolo alla raccolta
“Il fulmineo Continental correva sulla linea Parigi-Madrid con quanta forza aveva negli stantuffi. Era tardi, nel cuore della notte. Il tempo era brutto e piovoso. Umide verghe di pioggia sferzavano i vetri dei finestrini illuminati dall’interno, frantumandosi in un rosario di gocce lacrimose. Le carcasse dei vagoni lavate dal diluvio, scintillando come umide corazze alla luce dei lampioni lungo il binario, vomitavano dalle grondaie acqua scrosciante. Le nere sagome lasciavano sulla scia un gemito sordo, un confuso tramestio di ruote e respingenti in funzione, di rotaie percosse senza pietà. La catena di vagoni lanciata in folle corsa destava echi sonnolenti nel silenzio della notte, traeva dai boschi voci sbigottite e rianimava stagni assopiti. Pesanti palpebre assonnate si sollevavano e grandi occhi terrorizzati si spalancavano, restando un momento sospesi per lo spavento. Il treno filava sulle ali del vento, in una danza autunnale di foglie, trascinandosi dietro un lungo manicotto di turbini prodotti da aria sferzata, mista a fumi, fuliggine e nerofumo, pigramente ondeggianti nelle retrovie: correva innanzi a sé a perdifiato, abbandonando sanguinanti ricordi di scintille e scorie di carbone.
In uno degli scompartimenti di prima classe, rannicchiato in un angolo contro la parete del vagone e il poggiatesta, sonnecchiava un uomo di oltre quarant’anni, di costituzione fisica massiccia ed erculea.”