Una collezione di cattiverie

di Christian Sartirana - pagine 180 - euro 14,00 - Edizioni Il Foglio Letterario

C’è un gatto nero, e una coppia di padroni che non credono alla malasorte. Per loro sfortuna. C’è una vita nuova che cresce nel corpo di una giovane donna... ma solo lei se ne è resa conto, per ora. C’è un bambino che aspetta di ricevere il premio vinto per un tema fatto a scuola. Ce n’è un altro che ha molta paura di sua nonna. E ci sono tante altre storie piene di cattiveria...
In effetti un’antologia di storie del terrore dovrebbe essere proprio questo, una collezione di cattiverie. Come concetto generale. Ma sì, anche nel senso che dovrebbe essere come questo libro.

Capita di provare talvolta, quando si recensisce un’opera prima, la sensazione di essere tra i primi a scoprire un qualcosa che è destinato a lasciare un segno duraturo e a farsi conoscere. E questo è l’augurio che faccio a Christian Sartirana e al suo libro, per un motivo molto semplice, ovvero che le sue storie lo meritano.
Le note di copertina ci dicono che l’autore è nato a Casale Monferrato. Christian è un trentenne come tanti, che lavora in un’officina pneumatica, ma con un’attività parallela molto meno consueta, che gli viene dalle sue letture, autori dal gotico al weird fino alla sci-fi: Poe, Ramsey Campbell, Lisa Tuttle, Philip K. Dick; Insomma, quando si mette alla macchina da scrivere diventa un creatore di incubi. Narratore autodidatta, Christian racconta con uno stile asciutto, assolutamente non trascurato ma apparentemente semplice, quasi colloquiale. Lo stesso tono che potrebbe usare un amico incontrato per strada dopo una faticosa giornata di lavoro per invitarci a bere una cosa assieme al bar. Ci facciamo prendere per mano dal suo stile così minimale, e varchiamo senza alcun timore la soglia con lui. Ma non appena entrati, ci accorgiamo che siamo finiti in un luogo troppo angusto, polveroso e tenebroso per essere il bar in cui credevamo di andare. Un posto pervaso di malevoli spifferi, strani fruscii e odori di corruzione. E prima ancora di voltarci di fianco a noi, dove credevamo ci fosse il nostro amico, sappiamo già che vedremo materializzarsi il nostro incubo peggiore. Ecco, questo è l’effetto che ti fanno molte delle storie di questa antologia. Ma parlare solo della padronanza stilistica che Sartirana dimostra con i suoi frequenti crescendo di tensione sarebbe riduttivo e ingeneroso nei suoi confronti. Il fattore perturbante presente nei suoi racconti infatti ha una valenza che va ben oltre il brivido adrenalinico sulla schiena, o il sobbalzo del cuore per il mostro che spunta a sorpresa nell’ultima riga. E’ un perturbante che tocca corde profonde nell’individuo, i personaggi si trovano in situazioni annichilenti, talvolta posti di fronte all’azione di forze così grandi da essere fuori le loro possibilità di comprensione, talaltra, come accade negli incubi distopici che popolano queste pagine, oppressi da un potere politico-scientifico aberrante, folle e spietato.
Nella prima storia, “Una sfortuna dell’altro mondo”, un gatto nero fissa la strada nella periferia di Casale di Monferrato. Un’ambientazione di certo familiare all’autore e oggettivamente tranquilla e rassicurante. Eppure questo scorcio di vita di periferia può essere teatro di eventi tragici e incrinature della realtà che suggeriscono la presenza di altre dimensioni.
Segue “Istinto materno”, sul rapporto morboso che una giovane donna instaura con il male che cresce nel suo corpo, e delle sconvolgenti conseguenze. Storia breve, forse troppo, un’idea valida che comunque viene sviluppata con un buon effetto finale.
Il premio” è secondo me il racconto più bello dell’antologia, per il perfetto equilibrio tra storia, stile e ritmo narrativo, contenuti. Difficile non inorridire dinanzi alla visione distopica immaginata, di un’umanità privata con scientifica metodica della facoltà di pensare dal sistema dominante. E impossibile non divenire profondamente partecipi della battaglia, che diviene quella per la salvezza della dignità umana, del piccolo protagonista del racconto.
Ancora visioni distopiche con bambini al centro della vicenda nelle successive due storie, “Fantasmi” e “Gabbie”, ambientati in scorci di futuro prossimo in cui la società sembra sempre più irretita da folli soprusi di stato perpetrati con il beneplacito della scienza, e sotto l’influsso di un controllo che arriva a invadere non solo la sua libertà di espressione, ma, in senso affatto metaforico la stesse liberta e capacità di pensare dell’individuo. Entrambi non al livello de “Il premio”, ma di certo ben costruiti come atmosfera, scenario, senso disturbante, soprattutto “Gabbie” con il suo agghiacciante ed enigmatico finale.
Un’altra grande dote di Christian è quella di evitare con la massima nonchalance la cosiddetta “sindrome dello spiegone”, la quale affligge molti esordienti, che commetono l’errore di voler spiegare e spiattellare tutto, i significati reconditi dell’accadimento sovrannaturale, le motivazioni e le implicazioni. Così non è in queste storie, L’autore non si preoccupa di esplicitare gli antefatti o spiegare la logica degli accadimenti, semplicemente i protagonisti si ritrovano catapultati in situazioni spaventose e/o al di fuori della realtà senza troppe spiegazioni, né si preoccupano più di tanto di trovarle spesso, in quanto sono impegnati a pensare come sopravvivere. E questofacilita nell’immedesimarsi in questi sfortunati. Perché se loro non riusciranno a risolvere il loro problema di sopravvivenza forse neppure noi usciremo vivi da queste storie.
A questo trittico weird si-fi segue un godibile e scanzonato pastiche in salsa western con sorprendente e tragicomico finale,“La leggenda di Bill detto il fantasma”. Si torna poi al racconto di paura più canonico con la storia che da il titolo al libro, una rielaborazione dei temi classici della stregoneria e della pratica della fattura magica. La strega di questo racconto è una donna d’apparenza insignificante, priva di attrattive o particolari doti, che suggerisce un vissuto di disadattamento che può forse spiegare la sua propensione alla malvagità e l’invidia verso gli altri, la sua propensione e mania per gli oggetti portatori di sfortune, insomma un’inquietante catalizzatrice di vibrazioni negative. Racconto piuttosto canonico nelle tematiche, si diceva, riesce comunque a trasmettere una discreta inquietudine verso cose impalpabili ma ciononostante pericolose oltre che malvagie.
La memoria della polvere” è un altro racconto praticamente perfetto per idea di fondo, stile, ritmo narrativo, descrizioni e caratterizzazione di ambiente e personaggi. Ambientazione nei dintorni rurali di Casale di Monferrato, in una località teatro di un disastro ambientale a causa delle immissioni tossiche di polveri sottili provenienti da una fabbrica ora dismessa. Ma la polvere sembra ancora aleggiare nell’aria e poggiarsi su cose e persone, evocando fantasmi che forse sono le vittime dell’inquinamento indiscriminato, oppure proiezioni mentali del declino del protagonista durante la storia. Si ritroverà soffocato da questa polvere che stende un velo sulla sua casa e sui suoi affetti, estraniandolo completamente e in modo inesplicabile.
Gli occhi della vecchia” è un'altra valida storia di suspence e terrore suburbano, in cui l’influenza di Ramsey Campbell è piuttosto evidente, ciò non toglie che il racconto si fa apprezzare per il genuino senso d’inquietudine e claustrofobia che instilla.
Mi sarà testimone la luna” è una sorta di “noir d’epoca”, e racconta un fatto di sangue nell’originale prospettiva dell’assassino dilaniato dal senso di colpa, che manifestandosi con allucinazioni sempre più vivide e spaventose lo renderà reo confesso e condannato. “I guardiani” riporta alto il tasso di tensione con una storia molto originale e psicanalitica in cui la minaccia morbosa che tormenta il protagonista s’incarna... nei suoi giocattoli. Ed è sorprendente vedere come il talento e la padronanza della tecnica narrativa da parte dell’autore riescano a rendere disturbanti questi apparentemente pacifici e innocui oggetti. Chiude “La porta nel quadro”, storia che, lasciato da parte l’intento di spaventare o mostrare ossessioni da incubo, invade il terreno del racconto metafisico, con una storia di amore e dedizione per l’arte e la verità da parte di un giovane pittore, che porterà a conseguenze sconvolgenti e sovvertitrici dell’ordine naturale così come lo conosciamo. E mi rendo conto solo ora di aver forse sforato con la lunghezza di questa recensione, ma ritengo che ogni singolo racconto contenuto in questo libro meriti quantomeno due parole.
Se da un lato bisogna plaudire alla casa editrice Il Foglio Letterario per proporre autori emergenti sempre validi e interessanti, segno di una seria e concreta volontà di premiare il talento nelle loro proposte editoriali, e per la scelta di una veste grafica sobria e semplice ma al contempo ironica e accattivante per l’immagine di copertina, dall’altro si deve fare una tirata d’orecchi perché, seppure non vi sia una vera e propria abbondanza di refusi, ve ne sono di certo di più rispetto a come ci hanno abituato con lo standard delle loro pubblicazioni, e un po’ stride ciò in rapporto alla oggettiva qualità di questo debutto editoriale. A Christian possiamo dare un unico consiglio: quello di continuare a scrivere e credere nelle sue capacità e in ciò che ha da esprimere. Se farà questo, la scrittura non potrà che dargli di certo in un futuro si spera non lontano soddisfazioni anche maggiori. E le darà anche a noi che lo leggeremo. Consigliatissimo, senza riserve.
Voto: 9
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit (dal racconto Una sfortuna dell’altro mondo)
Quando vidi Chesterton scendere per il vialetto di casa per poco non mi spaventai.
Erano quattro giorni che non si faceva vivo e, all’improvviso, eccolo sbucare dal nulla.
“Ciao zingaro!” lo salutai, pensando a quanto Laura sarebbe stata contenta di sapere che era tornato. Eravamo sempre preoccupati quando il nostro gatto non si faceva vedere per più di un giorno e anche se era un fenomeno che si ripeteva spesso non riuscivamo proprio ad abituarci. Chesterton mandò un breve miagolio, quindi mi si avvicinò alle caviglie e cominciò a fare le fusa. Il pelo, completamente nero, si confondeva con le ombre sul terreno.