La notte di Villa Diodati

di Mary Shelley, George Byron, John Polidori, Danilo Arona - pagine 388 - euro 12,00 - Nova Delphi Libri

La notte di Villa Diodati si apre con “Villa Diodati Horror Show”, interessante e dettagliato saggio di Danilo Arona, introduzione a questo volume, che per il resto ospita la pubblicazione di tre opere letterarie composte, o quantomeno concepite, nell’estate del 1816 in Svizzera. Due di essere sono arcinote a tutti i conoscitori della letteratura gotica: si tratta del racconto lungo “Il Vampiro” di John William Polidori, e del ben più corposo romanzo “Frankenstein, o del Prometeo moderno”, di Mary Wollostonecraft Shelley. A corredo di esse viene pubblicato anche un brevissimo frammento letterario attribuito a Lord Byron dal titolo “La sepoltura”, che in realtà è poco più che un incipit, e appare essere stata l’ispirazione di partenza per la celebre novella di Polidori.

Benché sia l’opera di Mary Shelley che quella di Polidori siano probabilmente già presenti, magari in raccolte tematiche, nella collezione di qualsiasi amante della letteratura gotica che si rispetti, vengono qui riproposti in una nuova traduzione ed edizione critica che, assieme all’interessante frammento di Lord Byron e all’ottimo saggio di Danilo Arona, rendono questo volume un’aggiunta preziosa e necessaria nella biblioteca di ogni cultore del genere. Caratteristica comune di queste tre opere è di essere state scritte in seguito alla celebre e mitica “sfida letteraria” (a scrivere ciascuno una storia macabra” che, secondo la tradizione, in una notte svizzera dell’eccezionalmente piovosa estate del 1816 fu lanciata e raccolta da una elite di giovani letterati e spiriti eletti che soggiornavano a Villa Diodati, elite che comprendeva, oltre i citati autori, il poeta Percy Bysshe Shelley e la sorellastra di Mary, Claire Clairmont.
Come in realtà il saggio di Arona chiarisce quasi subito, non ha senso parlare di una vera e propria “notte” cruciale a Villa Diodati, in quanto in realtà il dipanarsi della sfida letteraria, e lo sviluppo delle idee portanti delle due significative opere di letteratura gotica che essa produsse, ovvero lo scritto di Polidori e quello della Shelley, occuparono parecchie di quelle notti tempestose. Nel saggio vengono ripercorsi non soltanto le vicende dei singoli protagonisti di quell’estate ginevrina funestata da un maltempo eccezionale, che fornì un contrappunto e uno stimolo ideale per gli spiriti sensibili degli scrittori riuniti nella villa, ma anche le singole vicende individuali degli autori. Nel caso di Polidori, viene ripercorso il suo turbolento rapporto con Byron, di cui il giovane medico di origine italiana era segretario, factotum, amico e vittima, vampirizzata a livello energetico, di quella poliedrica, spigolosa, instabile e difficile personalità che era il sommo poeta inglese. Tale rapporto conflittuale, che avrà poi un triste epilogo, precedente di poco alla prematura fine di Polidori, porterà il medico con ambizioni letterarie a rielaborare l’incipit iniziale che Byron aveva partorito per l’occasione, cimentandosi nella sfida letteraria da lui stesso lanciata, che parla della misteriosa e prematura morte di un misterioso individuo, a costruire, attingendo a piene mani dalla tradizione popolare e favolistica dell’intera Europa, ma ispirandosi anche fortemente alla figura dei poeti decadenti, e modellando tale creta multiforme sulle fattezze e lo stile di vita dello stesso Lord Byron, l’elaborazione di una figura archetipa che è giunta quasi immutata fino a noi, una rielaborazione dell’archetipo vampirico in cui si fondono spunti della superstizione popolare, fascino morboso da intellettuale decadente, carica erotica, promiscuità sessuale e depravazione morale. Ciò ha portato alla nascita di una espressione tipica della letteratura gotica (vampiro “Byroniano”) che designa una icona orrorifica molto più avulsa dalla tradizione letteraria rispetto a quanto lo sarà il Dracula stokeriano, ma proprio per questo forse più moderno e perdurante, nonostante la minor fama dello scritto di Polidori rispetto a quello di Stoker.
Del pari, per quanto riguarda il capolavoro di Mary Shelley, il saggio di Arona propone prima un penetrante excursus sulle vicende umane dell’autrice, i numerosi traumi familiari, il suo background culturale, fortemente impregnato di interesse per le nuove possibilità della scienza medica e le nuove teorie evoluzionistiche. Da questo ribollente crogiuolo di positivismo razionale e paure ataviche (il difficile e tormentato rapporto di Mary con la maternità, l’ambivalente relazione odio-amore con la sorellastra Claire), nonché la suggestione provocata dal disquisire su nuove scoperte scientifiche quali la pila galvanica e gli esperimenti per la rianimazione dei corpi morti, nasce l’idea di una genesi aberrante, del maldestro tentativo dell’uomo-scienziato di usurpare all’Onnipotente quella che è la sua più alta prerogativa, quella di creatore della vita.
L’analisi precisa e dettagliata che il saggista fa, aiuta meglio a comprendere le tensioni, gli stati d’animo, la condizione psicologica, che portarono nell’estate del 1816 queste giovani e fervide menti a concepire due tra le più efficaci e longeve figure archetipe della letteratura fantastica moderna, e i motivi per cui esse hanno attraversato quasi due secoli mantenendo pressoché inalterata e attuale la loro carica orrorifica e perturbante.
Voto: 8
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit (dal saggio "Villa Diodati Horror Show")
Il 24 settembre 1840 una donna inglese di 43 anni dal volto austero e orfano di un’antica e ormai trascorsa bellezza, percorre a bordo di un battello la riva nord del lago di Ginevra, il Lemano.
Lei si chiama Mary Wollstonecraft, vedova del grande scrittore Percy Bysshe Shelley e scrittrice di successo a sua volta. L’accompagna il figlio diciottenne Percy Florence in una sorta di viaggio sentimentale alla riscoperta delle “stazioni” della sua fuga giovanile, avvenuta in un’estate lontana nel tempo ma vicinissima nella memoria, quella del 1816.
Giunto all’altezza di Bellevue, il battello punta verso la sponda opposta in direzione di Coligny e Montalègre. Località poco fuori Ginevra in cui si trovano due famose maison a louer, Villa Diodati e Maison Chappuis, che ospitano di solito personaggi celebri con la romantica passione per la vacanza lacustre.
Una volta che il battello ha ormeggiato nel piccolo porto, Mary si perde ancora una volta (ma sarà l’ultima) nella bellezza incorniciata, come spesso capita da quelle parti, dal grigiore di una giornata fredda e cupa che non rende giustizia all’azzurro e al verde della natura circostante. Luoghi dove l’amore per Percy ha palpitato come mai prima e dopo quell’estate e come mai la creatività condivisa si è lanciata, persino a dispetto dei propri creatori, oltre i convenzionali confini di quella che si definisce “ispirazione”.