di Gustav Meyrink - pagine 100 - Newton
Collage di perle nato dal genio criptico/esoterico di Meyrink proposto 
  dalla Newton nell'indimenticabile collana “100 pagine, 1000 lire” vero e proprio 
  Olimpo per gli amanti della narrativa con la N maiuscola (ricordo testi di 
  genere di scrittori del calibro di Kipling, Hawthorne, Stevenson, tanto per 
  citarne alcuni). Questa, in estrema sintesi, è la presentazione che il 
  sottoscritto Matteo Mancini ritiene di fare di “Racconti agghiaccianti”, 
  il cui unico difetto risiede forse in un titolo piuttosto banale.
  L'accoppiata Gianni Pilo - Sebastiano Fusco opta per undici racconti dello 
  scrittore nato a Vienna nel lontano 1868, pescando dalla sua produzione gotica, 
  dall'orrore cosmico e dalla fantascienza satirica spesso finalizzata alla 
  derisione dell'esercito tedesco.
Così ci imbattiamo in undici racconti 
  variegati, ma uniti da un tratto comune che può esser facilmente compreso 
  analizzando la risposta che Meyrink soleva dare a chi gli chiedeva il senso 
  della sua narrativa: “la mia narrativa non è destinata tanto a raccontare 
  quanto, piuttosto, a rivelare in forma allegorica e romanzata le vie e i mezzi 
  per raggiungere uno stato e una conoscenza d'ordine superiore. Una via di 
  risveglio che permetta all'adepto/lettore di superare, in vita, la condizione 
  umana e riaccendere la scintilla divina presente all'interno di ogni uomo”.
  Grande studioso di Kabbalah e filosofia, con alle spalle un passato burrascoso 
  che lo portò sull'orlo del suicidio, Meyrink proietta i suoi studi nei racconti 
  e lo fa con un taglio visionario e un gusto dell'orrore che trascina il lettore 
  amante del bizzarro in un gorgo di emozioni che ha molto del misterioso e tutto 
  dell'affascinante e che richiede una lettura attenta e scrupolosa per poterne 
  carpire i segreti più importanti. Dunque un autore non di pronta soluzione e con 
  un talento che è assai raro incontrare nella narrativa di genere.
  Famoso soprattutto per aver dato alle stampe nel 1915 il romanzo “Il golem”, 
  Meyrink offre il meglio di sé nella narrativa breve e il libro in questione né 
  è, seppur in minima parte, una testimonianza tangibile. Abbiamo infatti 
  autentiche gemme della narrativa horror, con vette degne di esser catalogate tra 
  i più bei racconti mai confezionati in questo genere (e non solo).
  Tra i racconti più meritevoli non si può non citare “Il gabinetto delle 
    figure di cera”, un autentico orrore claustrofobico in cui Meyrink - come si 
  intuisce dal titolo - parla di un museo apparentemente di statue di cera e di 
  creature umane vittime di scherzi della natura (abbiamo una sorta di essere 
  composto da due bambini di otto anni uniti tra loro da un cordone invisibile che 
  li rende inseparabili). La particolarità dell'attrazione, tuttavia, sta nel 
  fatto che il titolare - una sorta di stregone egizio capace di influenzare gli 
  altri con la forza della mente - utilizza cavie per eseguire esperimenti 
  esoterici tesi a scomporre l'uomo in tanti elementi mantenendo in vita ciascuno 
  di essi staccato dal corpo originario. Un trio di coraggiosi cercherà di 
  arrestare il depravato mago, svelando al pubblico ignorante (da tradurre come la 
  massa del popolo) la vera natura del teatrino grandguignolesco.
  Favoloso poi è “L'anello di Saturno”, in cui è ancora l'esoterismo a 
  farla da padrone. Qui abbiamo un gruppo di adepti riuniti in un osservatorio 
  astronomico pronti ad assistere al tentativo del loro maestro di imprigionare 
  all'interno di una sfera di vetro l’anima di una beghina dispersa nell'universo. 
  L’uomo inizia così un esorcismo, ma ottiene un risultato imprevisto poiché le 
  ombre degli abitanti dell’abisso si staccano dai muri perimetrali 
  dell'osservatorio, mentre dei ragni precipitano silenziosamente dalla soffitta 
  aggredendo i presenti. In preda alla follia, il maestro si suicida con un 
  coltello, mentre gli adepti intervengono in suo soccorso impedendo alle forze 
  del male, che si dissolvono nel nulla, di sottrargli l’anima e di far 
  imputridire l’intero laboratorio. Un racconto dunque incredibile capace di 
  evocare un'angoscia che solo i più grandi artisti hanno il pregio di 
  trasmettere.
  Eccezionale è anche il gotico “L'urna di S. Gingolph”. Nell'occasione 
  Meyrink opta per un taglio più semplice e realizza un racconto alla Frederick 
  Benson per intenderci. Protagonista è un viandante in cerca di riposo in un 
  panorama che ha molto dell'Irlanda. L'uomo si reca in una verde vallata 
  costellata di macerie, restando sorpreso dalla presenza di un’urna intatta. 
  Addormentatosi di fronte all'oggetto e ai cipressi che lo proteggono dalle 
  intemperie, l’uomo rivive in sogno i fatti che hanno portato alla distruzione 
  del castello che torreggiava in quei luoghi e scopre che all’interno dell’urna è 
  conservato il corpicino di un bimbo che vi fu rinchiuso vivo. Racconto dunque 
  molto bello, ma meno criptico e forse, per questo, più gradito ai più.
  Sulla falsa riga di questo racconto, seppur qualitativamente inferiori, sono “La 
    maschera di gesso” e “Il segreto del castello di Hathaway”. Il primo 
  testo (un po' ironico) parla, ancora una volta, di un gruppo di adepti di una 
  setta riuniti per festeggiare il centenario della morte del loro maestro. A 
  tenere banco è una profezia secondo la quale la setta sarebbe sul punto di 
  scomparire per la stupidità di un loro adepto (da notare la critica metaforica 
  di Meyrink per la superficialità che caratterizza alcuni uomini). Più classico 
  il secondo racconto, forse il peggiore della raccolta. Meyrink nara del solito 
  castello, infestato da fantasmi, in cui pare gravare una maledizione che 
  colpisce tutti i primogeniti della famiglia una volta raggiunti i 21 anni 
  (ovvero la maggiore età), mandandoli in disgrazia. L'autore impreziosisce il 
  testo con una grande componente sarcastica rappresentata dalla figura del 
  fantasma (un banchiere che rivela i conti di famiglia); trovata che salva il 
  racconto dall'insufficienza e che getta un forte velo di polemica nei riguardi 
  delle famiglie nobiliari.
  Costituiscono invece un viaggio nell'onirico e nel bizzarro più estremo “Le 
    piante orribili” e “Danza macabra”. In entrambi i casi, si assiste a 
  storie dove le descrizioni scenografiche raggiungono apici visionari 
  ragguardevoli (nel secondo caso giustificati dal fatto che i protagonisti hanno 
  ingerito dei funghi allucinogeni). Non si tratta però di esercizi di stile 
  peraltro garantito da un lessico sempre ricercato, ma di un quid messo al 
  servizio di un esoterismo più o meno marcato (nel primo caso abbiamo un 
  egittologo alle prese con una statua di un demone che pare evocare strane forze, 
  nel secondo testo, invece, entra in scena una confraternita composta da uomini 
  perennemente in catalessi).
  Particolare e gustosissimo è il racconto “Il bramino” dove due ricercatori 
  restano infatuati da una scultura immersa nella palude. L'opera, per un 
  maleficio, li trasforma in insetti destinati a fungere da cibo per una 
  salamandra millenaria che esce dal bosco pronta ad avvilupparli con la lingua.
  Sono infine satirici e grotteschi i restanti due testi, entrambi con elementi 
  fantascientifici e col fine ultimo di mettere in ridicolo i graduati 
  dell'esercito (visti come scimmie stupide). I racconti si intitolano “I 
    cervelli” e “Castroglobina”. Nel primo caso, come si evince dal 
  titolo, si parla di uno scienziato che riesce a ricreare cervelli umani e 
  ambisce a generare un uomo in laboratorio non riuscendo però a farlo ragionare, 
  ma attirando comunque l'interesse dei militari che si interessano alle doti 
  fisiche piuttosto che all'intelligenza degli uomini. Nel secondo, invece, 
  abbiamo un altro scienziato questa volta alle prese con un virus capace di 
  aumentare il senso patriottico dei soldati, ma con la controindicazione di 
  istupidire le cavie all'aumentare del patriottismo.
  Dunque un raccolta brevissima caratterizzata da un stile ricercato, elegante e 
  calibrato di cui è consigliatissima la lettura, specie per chi è alla ricerca di 
  opere capaci di distaccarsi dall'appiattimento generale tipico della narrativa 
  commerciale spesso finalizzata all'esclusivo ed effimero intrattenimento. Ad 
  avviso del recensore sono questi gli autori da approfondire se si vuol scrivere 
  una narrativa di genere qualitativa, non certo altri che scimmiottano logiche 
  cinematografiche e che vengono definiti, a torto, i "re dell'orrore". Eccelso.
  Voto: 8,5
  [Matteo Mancini]