di Autori vari - pagine 157 - euro 16,00 - Keres Edizioni
Pubblicare una raccolta di racconti sui vampiri, da quando il ciclone
“Twilight” ha riempito gli scaffali delle librerie di succhiasangue
d’ogni sorta, è quantomeno pericoloso.
Il libro rischia, soprattutto da parte dei lettori più smaliziati,
d’essere subito bollato come un’opera più attenta al mercato e alle sue
direzioni, che al pubblico che da segue il genere fantastico e,
soprattutto, la sua declinazione più tradizionalmente horror.
Con la raccolta “Vampiriana”, invece, la giovane Keres Edizioni muove i
primi passi chiarendo la sua estraneità nei confronti dei vampiri “emo”
fin dalla copertina del libro. Queste sono novelle italiane, scritte
persino da insospettabili autori come Luigi Capuana ed Emilio Salgari,
corredate da alcune illustrazioni dell’epoca, vale a dire del periodo
che va dal 1885 al 1917, lasso di tempo in cui gli otto racconti sono
stati scritti e pubblicati.
Vampiriana, quindi, è una raccolta che, come spiega il curatore Antonio
Daniele in una utile introduzione, rappresenta uno spaccato piuttosto
esauriente del modo in cui diversi scrittori italiani – a cavallo del
secolo che ha portato all’industrializzazione del nostro Paese – hanno
recepito e rielaborato la figura del “vampiro”. Un vampiro che ancora
non ha assunto i connotati che gli dipingerà indelebilmente Stoker, con
il suo Dracula, pubblicato in Italia solo nel 1922. Un vampiro che
alcune volte si avvicina all’essere umano deviato, altre allo spettro, e
in un caso, proprio nel racconto di Emilio Salgari, non è nient’altro
che un grosso pipistrello, al soldo di uno stregone, in mezzo alla
foresta inesplorata dell’Uruguay.
Sono tutti lavori seminali, quindi; opere pubblicate nelle riviste
dell’epoca, che ricercano un equilibrio e un’identità in quello che
potrebbero essere viste come le basi di un fantastico italiano, il
quale, benché non per mano di alcuno di questi autori, farà comunque sua
una zona grigia che mette in contrasto le argomentazioni scientifiche e
logiche con quelle esoteriche e del soprannaturale.
L’approccio corretto, dunque, è di tipo storico-descrittivo, che
attraverso otto racconti brevi mette in luce la coscienza dell’epoca
relativa all’avvento di una narrativa di genere, che introduce elementi
fantastici nel contesto reale e cerca sia di negarli, sia di accettarli,
riconoscendone la verità.
È interessante notare come, ora nelle vesti di un amico armato di
logica, ora di un medico, ora del narratore stesso, vi sia quasi sempre
qualcuno che cerca di negare e spiegare gli eventi soprannaturali, o di
combatterli con la logica e con la scienza, in qualche caso ancora con
successo.
Lo si capisce già da una breve panoramica sui racconti degli otto
autori.
Francesco Ernesto Morando, in “Vampiro innocente”, scopre in un manicomio
un folle diventato tale dopo aver visto il figlio succhiare la vita alla
sorella. Salgari, come già detto, ne “Il vampiro della foresta” accompagna
due fratelli italiani in cerca di ricchezza nelle foreste dell’america
latina, narrando il modo con cui – attraverso coraggio, astuzia e
soprattutto i fucili – avranno la meglio di uno stregone che gli aizza
contro un vampiro enorme. Con Giuseppe Tonsi, “Il Vampiro”, si torna a un
malato rinchiuso in un ospedale psichiatrico, dopo aver avuto a che fare
con un nemico dedito all’occultismo e alla metempsicosi. Interessante,
poi, l’approccio di Luigi Capuana, che costruisce un vampiro-spettro,
dalle spoglie di un marito morto che tormenta la nuova unione della sua
vedova, il tutto narrato con abbondante uso della forma dialogica. Meno
incisivi, forse, i racconti di Daniele Oberto Marrama (“Il dottor Nero”,
il classico ritratto maledetto che porta alla morte una giovane sposa) e
di Giuseppe De Feo (“Il vampiro”, una creatura misteriosa e succhiavita
nascosta tra le rovine di un’antica civiltà, in Africa), mentre di nuovo
meritevoli di diversi livelli di lettura le ultime due novelle. Enrico Boni (“Vampiro”) dipinge un vampiro-proletario, che pare dare alle sue
gesta scellerate una connotazione quasi politica, mentre protagonista
della storia di Vittorio Martella (“Il Vampiro”), anch’essa ambientata in Sudamerica, nei ranchos del Venezuela, dove a impersonare il ruolo del
succhiasangue umano è addirittura un prete, che ha rinnegato la propria
fede.
Una raccolta varia, dunque, ma coerente per contesto temporale e di
argomenti, che – già dai titoli – pare quasi volerci mostrare come la
“moda” dei vampiri non sia certo una novità attuale.
Voto: 7
[Gelostellato]
Incipit (dall’introduzione di Antonio Daniele)
«Ultimamente non si sente parlare che di vampiri». Sembrerebbe l’incipit
di un articolo sull’ennesimo successo cinematografico popolato di
creature ematofaghe. Ma, sebbene parole quanto mai attuali, le diceva
Voltaire quasi tre secoli fa. La cosa non deve affatto stupire: il
vampiro può vantare una storia plurisecolare. E costellata di tanti,
misconosciuti, capolavori.
I primi vagiti del vampiro letterario moderno risalgono a metà
Settecento. La prima opera degna di nota, però, è del 1797, anno in cui
Johann Wolfgang Goethe dava alle stampe La Sposa di Corinto. Novalis,
Coleridge, Byron, Keats avrebbero dato, poi, il loro contributo per
rendere davvero immortale questo mito. Fu Charles Baudelaire a portare
alle estreme conseguenze la figura della donna vampiro, con alcune
poesie della raccolta I Fiori del Male. Da allora il tema venne ripreso
da autori del calibro di Kipling, Yeats, Hoffmann, Gautier, Gogol... ma
l’elenco sarebbe eccessivamente lungo, senza contare che il fil rouge di
questo sottogenere è stato accuratamente tracciato da un’ampia
saggistica.
Cosa che, invece, spesso si ignora, è che esiste una tradizione italiana
del vampiresco, che si è evoluto grossomodo di pari passo con il genere
fantastico.