L'ultima passeggiata

di Gabriella Guidi Gambino - pagine 137 - euro 13,00 - Mursia

Lisa Gritti, studentessa universitaria alle prese con una ricerca sui comportamenti criminali e i meccanismi che spingono l’uomo al delitto, si rivolge all’avvocato romano Giacomo Sanfelici, sperando che, dall’alto della sua esperienza di penalista, possa darle qualche suggerimento. L’uomo le sottopone il caso di una ragazza trovata morta sul lungotevere nel 1918, un delitto che nasconde vicende e interpretazioni invisibili a una prima occhiata. Comincia così l’avventura di Lisa dentro le vite e le storie dei personaggi coinvolti, alla scoperta di verità che mai avrebbe sospettato, tenendo per mano una giovane - e forse anche un anziano amico - nella sua ultima passeggiata.

Ho sempre una certa difficoltà nel digerire romanzi scritti come poesie. La prosa che amo ha un tono diverso, più semplice e diretto. Questione di gusti. Io se devo rileggere una frase tre volte perché mi sono persa tra duecento aggettivi (superflui?) mi stanco. Ma chi ama la prosa fiorita, un po’ ampollosa, troverà pane per i suoi denti.
Del resto la vicenda, anche se ambientata nel presente, non è che una ricostruzione del misterioso delitto del Lungotevere Marzio, avvenuto nel 1918, e si respirano atmosfere di inizio secolo sia nelle descrizioni sia nei dialoghi.
Ho trovato il romanzo a tratti ridondante e ripetitivo (è davvero necessario sottolineare così tante volte lo stesso concetto?), mentre lungo alcuni passaggi la narrazione salta di palo in frasca, lasciando il lettore con un punto interrogativo stampato in fronte. Anche il cambiamento di prospettiva dalla prima persona, alla terza, di nuovo alla prima disorienta un po’.
La suspense si crea solo a tratti ed è un vero peccato, perché dalla trama mi aspettavo una specie di giallo, del tipo “cold case”; invece ha più della riflessione filosofica o del racconto da caminetto d’altri tempi e mi ha lasciata con l’amaro in bocca.
Voto: 6
[Blackstar]

Incipit
Cara Lisa, spero di poterci incontrare di nuovo. Sono felice della notizia che verrai più spesso in Italia e che hai sposato quel ragazzo di cui eri ospite a Roma nel periodo della nostra ricerca.
La sua doppia radice italo-americana potrebbe essere un buon germoglio scientifico per il nostro Paese, mentre i suoi colleghi italiani fuggono all’estero.
Non ti nascondo di sentirmi addosso una certa stanchezza, vivere mi pesa, mi è di sollievo il ricordo dei giorni che abbiamo vissuto nello scambio di esperienze e di idee. Le nostre passeggiate sui prati e i colli Albani, il tuo onnipresente registratore... ne è fiorita una confidenza di sentimenti, nel dolore di quelle risposte che mi hanno toccato come una freccia nell’animo.