L'ultimo lupo mannaro

di Glen Duncan - pagine 474 - euro 16,90 - Isbn Edizioni

Jacob Marlowe è l’ultimo della sua specie. Solo e stanco della vita, braccato dai suoi inseguitori, vorrebbe semplicemente arrendersi al suo destino e smettere di scappare. “Amiamo la vita perché la vita è ciò che abbiamo”, ma dopo duecento anni di esperienze c’è ancora qualcosa per cui valga la pena vivere? Anche se “in duecento anni vedi tutto tante volte” e credi che nulla possa più sorprenderti, il più inatteso degli incontri porterà Jake ad aggrapparsi alla vita, proprio a quella vita che sembrava non potergli offrire più nulla.

Glen Duncan decide di confrontarsi con un tema affascinante, nonché esploratissimo: Salve, sono l’ultimo della mia specie e mi sento così. Non facile, perché ci vuole veramente poco a cadere nei cliché. Ma il risultato è più che apprezzabile.
L’incipit del romanzo non mi aveva del tutto convinta per il suo taglio riflessivo-intimista, anche un po’ pesante, ma la narrazione si riprende quasi subito. Del resto, i capitoli sono brevi e snelli, si leggono d’un fiato, e sono permeati da quella sottile ironia che rende piacevole una storia che non si prende mai troppo sul serio – cito il protagonista: “Dio è morto, ma l’ironia sta benissimo e se la spassa come non mai”.
Lo stile narrativo è poliedrico: si passa dalla riflessione filosofica sull’esistenza, alla pura azione, con un certo sapore poliziesco, al più classico horror (volete sangue? Ce n’è!), alle atmosfere da romanzo ottocentesco quando Jacob narra l’inizio della sua nuova vita. Non poteva mancare l’eterna lotta tra vampiri e lupi mannari, da cui si evince principalmente che i lupi mannari scopano, i vampiri no – concetto ampiamente illustrato, con dovizia di particolari.
Quindi c’è da appassionarsi, riflettere, ridere, disgustarsi, commuoversi e chi più ne ha più ne metta. Personalmente, mi sono divertita.
Le riflessioni filosofiche, mai a sproposito, ma a volte noiose, sono la parte del romanzo che ho gradito meno, perché le numerose citazioni colte possono stancare. A tratti ho avuto anche l’impressione che la traduzione penalizzasse un po’ il romanzo, ma non mi sento di sbilanciarmi su questo fronte. Diciamo che alcuni paragrafi sono complessi, quasi tortuosi, e si fatica a seguire il filo del discorso; però quando parte l’azione Duncan è impeccabile. Parecchie le frasi memorabili - non ve le cito per non togliervi la sorpresa, anche se me le sono segnate tutte.
Un neo: ci sono aspetti importanti della trama che non vengono approfonditi a dovere e sono lasciati sullo sfondo. Dal momento che si tratta del primo capitolo di una trilogia, la speranza è che siano sviluppati nel seguito, che mi gusterei volentieri. Del resto, per una donna è una soddisfazione leggere la storia di un uomo succube di un ciclo di 28 giorni.
Voto: 7,5
[Blackstar]

Incipit
«E’ ufficiale» disse Harley. «Hanno ammazzato il Berlinese due notti fa. Sei l’ultimo.» Poi, dopo una pausa: «Mi dispiace».
Questo succedeva ieri sera. Eravamo nella sua casa di Earl’s Court nella biblioteca al piano di sopra, lui in piedi con i muscoli in tensione tra il camino di pietra e il divano rosso sangue, io seduto alla finestra con un bicchierino di Macallan invecchiato quarantacinque anni e una Camel, e guardavo fuori la neve che cadeva bagnata nel buio di Londra. La stanza sapeva di mandarino e pelle e del legno di pino che bruciava nel fuoco. Dopo quarantott’ore ero ancora fiacco per la Maledizione. Le scorie di lupo sui polsi e le spalle ci mettono un po’ ad andarsene. Avevo sentito le sue parole, ma riuscii a pensare solo: mi farò fare un massaggio da Madeline più tardi, con l’olio caldo al gelsomino e quelle sue mani bianche con le unghie lunghe che non amo e non amerò mai.