di Riccardo Coltri - pagine 190 - euro 13,00 - XII Edizioni
Primi anni del Regno d’Italia, al confine con il Tirolo. In un’epoca
oscura, ma non poi così lontana dal nostro tempo, una strana ricerca
coinvolge un gruppo di agenti segreti dell’Esercito Regio, formato da
soldati, stregoni e medium.
Qualcosa è arrivato, nelle vecchie contrade tra il lago e i monti. O,
forse, è tornato.
Tra armi da fuoco, amuleti e Stregheria, contrabbandieri che vagano nel
buio di boschi innevati e briganti nascosti tra le pareti di case
marchiate con croci, le diverse avventure convergeranno nella scoperta
di luoghi proibiti, di fatti maledetti accaduti in passato, e ciò che di
sanguinario e misterioso è sorto da tutto questo: la corsa selvatica.
Completa l’opera l’appendice di Dario Spada, tra i più noti e stimati
saggisti su miti e folclore.
Questo è il primo libro di Riccardo Coltri che leggo. Ammetto di aver iniziato
"Zeferina" – incensato dai blog del giro buono – ma di non esserne stato
conquistato quanto credevo. Quindi non posso fare paragoni tra il libro
che sto recensendo e la sua opera prima.
Sta di fatto che "La corsa selvatica" è un romanzo molto buono e,
incredibilmente a dirsi, anche originale. Coltri è uno di quegli autori
che potrei imparare ad adorare. Non ambienta le sue storie a New York,
Los Angeles o Londra, bensì in Italia. Va anche oltre, scegliendo un
periodo storico non certo tra i più amati e sfruttati dagli scrittori,
ovvero i primi anni del Regno. Dietro tutto il suo lavoro si nota un
lavoro di documentazione notevole, che spazia tra storia, geografia,
folklore ed esoterismo. Vi pare poco?
Tra l'altro l'autore attinge a quella serie di leggende montane che
tanto mi stanno a cuore (chi ha letto il mio più recente racconto lo
sa), sviluppando un intrigante bestiario fatto di streghe, mannari,
orchi, e segreti inenarrabili fatti di magia nera e antiche maledizioni.
"La corsa selvatica" ha il sano retrogusto delle storie macabre di una
volta, che i nonni raccontavano durante le riunioni serali nelle stalle,
oppure nei Filò. Però Coltri non si ferma sul solo orrore rurale, come
fa per esempio Eraldo Baldini, bensì cerca una contaminazione fantasy
originale e per questo apprezzabilissima. Senza scomodare elfi, nani
rissosi e hobbit, ricrea atmosfere che hanno un sapore magico e al
contempo crepuscolare. Un ex giocatore di ruolo come me non poteva non
notare anche qualche eco dei migliori scenari del GDR Warhammer, coi
cacciatori di streghe, i cultisti e tutto il resto.
Ma non è un romanzo perfetto, anzi. I difetti ci sono, ed è anche facile
individuarli. In primis c'è troppa carne al fuoco. Il che in sé non è un
male, se fosse ben cotta. Così non è. Certi episodi, certi passaggi,
mettono l'acquolina in bocca, senza sfamare. Coltri abbozza un sacco di
spunti interessanti, ma ne sviluppa solo alcuni. Stranamente questo
trend cambia sul finale, che risulta indubbiamente la parte migliore del
libro.
Secondo difetto, conseguente al primo: il romanzo è piuttosto corto.
Visto la marea di personaggi e storie proposte di pagina in pagina, "La
corsa selvatica" poteva essere lungo anche il doppio. Non amo i mattoni
di 800 pagine, ma nemmeno i libri che sembrano aver fretta di arrivare
alla parola fine.
Se Coltri riuscirà a migliorare questi aspetti della sua scrittura,
diverrà uno dei miei autori preferiti. Questo mi pare certo. A ogni modo
"La corsa selvatica" è un ottimo biglietto da visita, che ben illustra il
suo stile e le tematiche di cui scrive.
Promosso e consigliato, anche se aspetto ulteriori sviluppi sul destino
della Katertempora.
Voto: 7
[Alessandro Girola]
Incipit
Continuando a reggere Celeste per i piedi, Elia indietreggiò.
Diede un calcio all'indietro, aprendo la porta, ed entrò di schiena.
"Cos'ha detto?" chiese a Nato, che teneva il ferito per le braccia.
"Cos'ha detto?"
"Non lo so".
Celeste aveva un fazzoletto appallottolato in bocca, gli occhi sbarrati.
Mentre veniva appoggiato sul pavimento emise un altro, lungo ringhio.