di Gordiano Lupi - pagine 125 - euro 12,00 - Perdisa Editore
Romanzo dato alle stampe nell’estate del 2009, ma nato da un racconto (“Il sapore della carne”) che Gordiano Lupi aveva già proposto nell’antologia “Nero Tropicale”. Siamo alle prese, molto probabilmente, con il miglior lavoro di Lupi (di cui ricordo, oltre agli innumerevoli saggi sulla cinematografia di genere, le antologie nere ambientate a Cuba e Caraibi dal titolo “Orrori tropicali” e “Nero tropicale”, ma anche il thriller “Avana killing”).
“Una terribile eredità” è una storia drammatica che riassume in
sé molti dei temi cari all’autore (dal gusto per i B-Movie alla critica
al regime di Fidel Castro), con uno stile che si avvicina, in più parti,
al pulp. Evidente lo studio criminologico messo in atto dallo scrittore
(si ricorda che Lupi ha al suo attivo anche saggi in materia di serial
killer e crimini seriali) che si può palpare nella caratterizzazione
psicologica del protagonista e nei traumi che lo trasformano da persona
comune a mostro della società moderna.
Diviso in due parti ben definite, il romanzo propone nel dettaglio
l’orrore della guerra di Angola e, successivamente, le conseguenze
psicologiche che essa crea in un soldato cubano ritornato nella sua
terra di origine.
Dunque si ripropone quel binomio (guerra/devianza psicologica) proposto
varie volte anche al cinema (“Rambo”, “Apocalypse domani”, “Hannibal
Lecter le origini del male”), ma qui raccontato con un taglio tale da
sembrare cronaca vera (aspetto amplificato dalla cronaca nera
internazionale che conferma storie del genere). Ne deriva un testo crudo
(si parla di cannibalismo), che non lesina a colpire il lettore con
stilettate davvero crudeli. Particolarmente disturbanti alcuni passaggi
(penso allo scuoiamento delle scimmie nella giungla africana o al primo
omicidio a Cuba). Potrebbero invece disturbare i più puritani, per il
linguaggio velatamente “duro”, alcune descrizioni di rapporti sessuali
tra il protagonista e alcune prostitute (forse si sarebbe potuto evitare
di tornare più volte su questi rapporti, ma ciò non determina affatto
ricadute sulla bontà del testo).
Ottimo lo stile, con un taglio molto brillante e veloce che non
appesantisce mai la lettura.
Da un punto di vista formale, il libro è molto curato e si presenta con
una discreta confezione.
Lettura consigliata.
Voto: 8
[Matteo Mancini]
Incipit
Mi dà un dolore atroce ricordare quella maledetta guerra.
Però è cominciato tutto là. Ed è colpa di quei negri se sono finito qua
dentro a marcire. Di quei negri e di Fidel, che Dio se lo porti.
Tanto ormai non mi fa più paura. Per tutti sono solo un povero pazzo e
posso dire quello che voglio. Nessuno mi fa caso. Nessuno mi ascolta.
Finirò la mia vita al Mazorra, questo è certo. In ogni caso meglio che
un plotone d’esecuzione. Meglio che andare sotto qualche metro di terra
al Cementerio Colón.
Il giudice ha detto che non sapevo ciò che facevo. Infermo di mente, è
stata la sentenza. In realtà ho avuto solo un bravo avvocato, perché io
non sono pazzo. No che non lo sono. Sono soltanto uno che ha dato gli
anni più belli della sua vita per una maledetta guerra. Uno dei tanti
che non gliene importava un cazzo di quei fottuti negri e che pure è
dovuto andare a combattere insieme a loro. Come non me ne fregava niente
del comunismo e l’ho difeso di là dall’oceano. Ho perso una moglie e ho
conosciuto mio figlio che era già un bambino di cinque anni. E la mia
vita è cambiata, laggiù. Purtroppo. Ricordo quando lasciai Clara nel
solar di Casablanca, una casa di una sola stanza attaccata ad altre
venti, con un tetto in comune e una sottile parete in cemento a fare da
separazione. Rammento che si sentivano i rumori di tutti, persino i
sospiri e i pianti dei bambini, i gemiti di chi faceva l’amore prima di
addormentarsi e il brusio della televisione.
Eravamo poveri. Andare in Angola mi avrebbe portato qualche soldo in
tasca, pensai. E poi non potevo fare diversamente. Mi avevano detto che
la guerra sarebbe durata poco, il tempo di ammazzare qualche negro e
sarei tornato a rivedere L’Avana e il Cristo gigantesco di Casablanca
che si affaccia sulla baia.