di Luca Filippi - pagine 74 - euro 6,00 - Leone Editore
Palermo, XIV secolo: Pietro II, re di Sicilia, si innamora della giovane
Bianca, figlia dell’acerrimo nemico Francesco, conte di Ventimiglia, e
da lei viene ricambiato. Ma un complotto sembra stia per essere
organizzato alle sue spalle, una macchinazione che va oltre il
tradimento amoroso con cui Pietro ferisce sua moglie...
Palermo, XXI secolo: Fausto, un medico radiologo, e Alessandra, una
paleobiologa, fanno riaprire il sepolcro di Federico II, dove,
all’interno, sono custoditi i cadaveri di tre persone: Federico stesso,
Pietro II e un terzo, misterioso corpo, a cui cercano di dare un nome.
Interessante esordio letterario di Luca Filippi, nonché
interessante progetto editoriale della Leone Editore, che ha dato vita a
una collana di romanzi brevissimi, chiamati cortoromanzi, venduti a un
prezzo contenuto e realizzati in maniera più che professionale.
Colpisce infatti subito questo libricino di settanta pagine scarse, per
mezzo di un’accattivante brossura con tanto di alette pieghevoli e
un’attenzione competente per quanto riguarda impatto grafico (tenue e
gradevole l’immagine di copertina) e impaginazione (nessun errore,
nessun refuso, nessun sbrodolamento). Si potrebbe parlare di manna dal
cielo per la piccola editoria, ma, più che altro, la Leone Editore
mostra quanto sia facile, se mi è permesso usare questo termine,
confezionare ottimi prodotti, seri, vendibili, anche nel macroscopico
universo della letteratura underground.
Ed è un vero piacere scoprire, man mano che ci si addentra nella
lettura, che la cura esterna riservata al libro è stata posta con la
stessa meticolosità anche al contenuto.
"I diavoli della Zisa", pur nella sua semplicità strutturale, è
ben scritto e ben costruito, segno che c’è stato un lavoro, dietro -
fattore quanto mai temuto, neanche fosse contagioso, dalla quasi
totalità delle piccole case editrici -, dal passaggio da file a carta.
Il cortoromanzo di Luca Filippi è, come precisa il sottotitolo, un
intreccio noir-storico, che segue due linee parallele: una ambientata
nella Trinacria del passato, e una, attuale, ambientata nei laboratori
in cui Fausto e Alessandra coltivano la loro passione lavorativa e,
forse, quella amorosa.
La storia, il nocciolo, si svolge più che altro nel XIV secolo, e narra,
con un certo gusto descrittivo e storico-documentaristico, passioni e
intrighi di corte. Nel 2008, invece, la trama approfitta di pause
decorative e galanti per spiegare, o tentare di farlo, con minuziosi
particolari (in alcuni casi anche eccessivi), chi sia l’enigmatico terzo
cadavere contenuto nel sepolcro, abbracciando in questo modo il
parallelismo con l’intrigo avvenuto centinaia di anni prima.
La narrazione di Luca è fluente e accattivante, frutto di un ottimo
lavoro di ricerca controbilanciato da una snella accessibilità, e
costringe a divorare il romanzo, con un certo gradimento, in pochi
minuti.
L’intreccio non presenta grossi scossoni, né particolari twist narrativi
che possano sorprendere il lettore, ma la trama, nella sua pur piacevole
prevedibilità, è coinvolgente quanto basta per non chiudere il volume
senza prima averlo finito.
Sicuramente, una maggior complessità organizzativa avrebbe reso ancora
più accattivante "I diavoli della Zisa", così come la gonfiatura di
certi momenti in cui la ristrettezza generale si fa sentire
eccessivamente, ma è innegabile che, così com’è, abbiamo tra le mani un
prodotto efficace e, anche per il prezzo onesto, più che meritevole di
acquisto.
Che sia da esempio alle tante, troppe, malefiche case editrici che
infestano la piccola editoria e che meriterebbero soltanto spray
velenosi e preghiere sciamaniche per essere scacciate una volta per
tutte, togliendo ad autori meritevoli, come lo è, e lo sarà, Luca
Filippi, il giusto spazio e il giusto tempo per crescere
qualitativamente.
Voto: 6,5
[Simone Corà]
Incipit
Il dottor Fausto Eleuteri era solo nella grande cattedrale.
Il sole era sorto da poco e trapassando le vetrate si proiettava sul
pavimento, accendendo il sarcofago di una sfumatura infuocata. Fausto
sollevò appena la montatura degli occhiali leggeri e inspirò
profondamente. Era un medico e nell’esercizio della sua professione ne
aveva viste troppe per emozionarsi facilmente. Non capita tutti i giorni
di far parte dell’équipe che avrebbe scoperchiato e poi analizzato i
resti del grande Federico di Svevia, lo stupor mundi, l’imperatore che
aveva nel sangue la freddezza dei teutonici e la tempra vigorosa dei
normanni.