Sotto un cielo cremisi

di Joe R. Lansdale - pagine 312 - euro 17,00 - Fanucci

Richiamati all’azione da una richiesta di aiuto del loro vecchio amico Marvin, Hap e Leonard si vedono alle prese con un gruppo di piccoli spacciatori senza speranze, rei di aver rapito la bella e giovane Gadget. Sembra un lavoretto facile, niente più di un paio di pugni e qualche calcio, ma, come al solito, la situazione precipita. Hap getta nel water tutta la cocaina che c’è in giro, per un valore di migliaia di dollari, e qualcuno di grosso, ai vertici dell’organizzazione per cui lavoravano quei minuscoli delinquenti, non è affatto contento di tutto questo.

In tempi recenti, Joe Lansdale ha mostrato un preoccupante calo di qualità narrativa. I suoi ultimi romanzi sfoggiavano trame fiacche, riciclate dai cliché da lui stesso inventati, povere di idee e superficiali nell’esecuzione, a causa di una scrittura poco convinta, annacquata, quasi forzata. Pochi i sussulti, in questa stasi creativa, quasi macchie nere su una camicia bianca: per quanto piacevoli da leggere ("La notte del drive-in 3", "La ragazza dal cuore d’acciaio"), si mostravano comunque sempre troppo leggeri ed esili rispetto a quanto prodotto in passato.
E si erano così perse le speranze per quello stile carico, ironico, rapido come un coltello a serramanico e volgare come uno scaricatore di porto, convinti ormai che allo scrittore texano interessassero più le arti marziali che la narrativa, e che l’inevitabile invecchiare gli avesse prosciugato ogni abilità.
È quindi sorpresa graditissima questo "Sotto un cielo cremisi", che non solo riporta Lansdale ai fasti stilisticamente più creativi e coloriti dei begli anni, ma rispolvera anche i personaggi che per chiunque rappresentano la filosofia di pensiero vera e propria dello scrittore texano: Hap Collins (bianco, democratico), Leonard Pine (nero, gay e repubblicano) e tutta l’allegra combriccola (Brett, Marvin, Jim Bob) che li accompagna dal lontano 1990, anno del loro esordio su "Una stagione selvaggia". E a otto di distanza dalla loro ultima avventura, la sesta, quel frizzante "Capitani oltraggiosi", gli scalcinati rullacartoni dalla lingua tagliente sono ancora in grande forma.
Appare chiaro, quindi, che l’accoppiata Hap & Leonard è in fondo Joe Lansdale stesso, e viceversa, e non è un caso che il ritorno dei suoi personaggi più amati coincida con il ritorno delle sue metafore splendide e insolite, di quell’ironia graffiante e incontenibile, di quel ritmo pimpante, quasi ballabile, trascinante, e di quei protagonisti così volgari, così rozzi, così incivili e sgraziati, eppure scolpiti in nobili ideali di uguaglianza e rispetto, punti cardine di ogni romanzo lansdaleiano.
Non c’è un attimo di tregua, si corre per trecento e passa pagine, in mezzo a risse senza fine e battute al fulmicotone, passando per uno tra i momenti più felici dell’intera carriera dello scrittore texano (l’inseguimento automobilistico e relativa sparatoria), uno strabiliante estratto delle sue capacità narrative, dove convivono velocità lessicale, splatter esplosivo e carisma prorompente.
Certo, lo spunto che regge in piedi la vicenda è striminzito, minimale, e a livello di complessità è forse quanto di più semplice e lineare si possa trovare nella lunga carriera di Lansdale. È più che altro un pretesto, una scusa per permettere ad Hap e Leonard di menare quanta più gente possibile, e sicuramente si sente la mancanza di un intreccio più corposo e incisivo, ma è una mancanza comunque relativa, che diventa quasi irrilevante di fronte alla magistrale narrazione con cui prende vita la storia.
Si tira un sospiro di sollievo, si divora "Sotto un cielo cremisi" con un piacere inaspettato, quasi miracoloso, e a questo punto si guarda al futuro di Joe Lansdale con molta curiosità.
Unica nota negativa, l’edizione Fanucci - che ora detiene l’esclusiva per i romanzi dello scrittore texano - che, come per altri lavori in passato, non trovo molto gradevole dal punto di vista visivo (cartelle alte a strette, molto - troppo - spazio bianco attorno al testo). Senza contare il fatto che, con la mancanza delle costina gialla tipica di casa Einaudi, che aveva pubblicato le prime sei storie del ciclo di Hap & Leonard, non si potrà mettere questo volume nel posto che ogni libreria italiana gli riservava da tanti anni.
Voto: 7,5
[Simone Corà]

Incipit
Da un bel pezzo non mi sparava più nessuno, e negli ultimi due o tre mesi ero riuscito anche a conservarmi la testa tutta intera. Si trattava di una specie di record, e cominciavo già a sentirmi speciale.
Io e Brett ce ne stavamo a letto, al piano superiore della nostra casetta in affitto, col fiato corto perché appena arrivati al traguardo di una lenta, tenera corsa che, qualche volta, potrebbe anche sembrare una competizione; ma basta impegnarsi nella maniera giusta per sentirsi vincitori, anche se si arriva ultimi.
E, in quell’istante, la vita era bella.
Brett si mise seduta sprimacciandosi il cuscino dietro la schiena, e scostandosi dal volto i lunghi capelli rosso fuoco spinse il petto in avanti in un modo che mi fece sentire davvero fortunato. «Non me la spassavo così tanto» disse «da quando ho fracassato la pistola sulla capoccia di quella mezzasega dai capelli rossi.»
«Non hai idea di quanto mi fai diventare romantico» dissi io.