Mostri per le masse

di Nino G. D'Attis - pagine 238 - euro 16,00 - Marsilio

L’ispettore Graziano Vignola indaga sull’omicidio di una studentessa, forse brutalizzata da una setta satanica. Attorno a lui, colleghi e amici che sanno o non sanno o fanno finta di non sapere. Dietro di lui, un passato sconvolgente, che riaffiora a poco a poco. Davanti a lui, solo l’inferno.
Nino G. D’Attis ha uno stile. È uno stile ostico e delirante, ma personale, riconoscibile, travolgente. È uno stile che graffia come chiodi sulla carne viva, che colpisce per la logica precisa e indistruttibile che giustifica un’apparente overdose di follia. Il suo vocabolario sembra contenere solo termini utili a descrivere squilibri, visioni pessimistiche, violenze psicofisiche, rigurgiti di ferocia affascinante.

Nessuna luce in fondo al tunnel, o azioni riabilitatorie che confortino e rassicurino dopo la carneficina, quindi, ma solo personalità deviate, personaggi che ingurgitano frullati di frattaglie e vomitano scarnificazioni vocali.
È un buio cupo, catastrofico, filtrato da un’ironia velenosa che sottolinea ed enfatizza il marcio della vita secondo D’Attis. È un buio destrutturato di passato e presente, piani temporali che si sovrappongono alla ricerca del vero significato della crudeltà. È un buio che cattura e che, dopo un iniziale smarrimento per il bizzarro delirio narrativo che trasforma saltuariamente il romanzo in un trip di parole e suoni e immagini, coinvolge al punto da dire: «Solo una pagina, lo giuro, una pagina ancora e poi smetto».
Non che sia facile entrare in questo universo. Improvvise divagazioni e lunghe parentesi creano un flusso di pensieri che a volte può rendersi anche fastidioso, nella totale gratuità con cui si costruisce bestemmia dopo bestemmia.
Ma lo si accetta per il ritmo indiavolato della storia, per il continuo alternarsi di personaggi splendidamente caratterizzati e a loro modo carismatici, per l’evoluzione dell’indagine e per un finale che non poteva chiudere in modo migliore.
"Mostri per le masse" è un romanzo che resta dentro, un romanzo che fotografa la vita da un punta di vista malsano e sgradevole, un romanzo che non mostra eroi né morali che permettano di immaginarli, ma solo un cinico sarcasmo che attorciglia lo stomaco.
Voto: 8
[Simone Corà]

Incipit
Rimini.
Metà mattina, mani assiderate, Ezio che ci mette un’eternità a venire giù.
Conto fino a cento.
Qualche linea di febbre.
Metto in funzione i tergicristalli aspettando la fine della scena.
Ezio già sborniato oltre misura, il colletto del bomber bianco di forfora ghiacciata e un alito tremendo.
Passi corti. Occhi bassi.
«Amico mio, tutto quel che mi serve ce l’ho già. E grazie tante.»
«Be’, davvero?»
«Ce l’ho già quello che mi serve, grazie al cazzo!»
Conto fino a centoventi.
Fuori dalla porta, scemo. Tanto la stronza tossica non abbandonerà mai il suo porcile.
Rimini, 10 febbraio 1994, ore dieci e quarantasei.
Niente pistola, niente pistola, niente...
Gli occhi chiusi.
Smetto di contare.
Smetto di vedere le cose come un rebus senza soluzione.
Silenzio rotto dalle gocce di pioggia sul parabrezza.
Mi cola il naso.
Poi lei muore.