Ancora il vento piange Mary

di Danilo Arona - pagine 265 - euro 14,00 - Phasar Edizioni

Ritorna uno dei pochi autori di riferimento dell’orrore nostrano (forse il più genuino in assoluto) e lo fa a modo suo.
La quarta di copertina cerca in ogni modo di trarre in inganno, scrivendo che il Nostro “ha firmato oltre venti titoli tra saggi di cinema, inchieste sul lato oscuro del sociale e romanzi thriller, talvolta horror” - con quell’horror buttato lì alla fine, quasi controvoglia, preceduto dal “talvolta”, come a scusarsi di una macchia o di una bestemmia. Per fortuna, nell’introduzione ci pensa il buon Danilo Arona a riportare le cose al loro posto, parlando delle personalità multiple dello scrittore, e sull’inesattezza: “Quella che intende spacciare ancora oggi che il gotico moderno deve esorcizzare le paure reali che ci circondano. Nulla di tutto ciò. L’horror deve mordere nelle parti molli. Perturbare. Provocare insonnia.”
Avete capito, miei cari?

Ma andiamo al libro, che ritorna in una nuova veste rispetto a quella del 2000. Ebbene, sì, perché questo “romanzo a racconti” è un’edizione ampliata, riveduta e modificata di quello che 9 anni fa si chiamava “Il vento urla Mary”.
In questi nove racconti ritroviamo l’Arona che conosciamo e che amiamo, quello delle storie rurali e urbane, dei demoni e della musica.
C’è tanta musica tra queste pagine, ed è un piacere sentirla urlare nelle orecchie, come il vento. C’è la Bassavilla che - vi avranno detto sino alla nausea, in precedenti lavori - richiama la sua Alessandria, e che quindi non vi ripeto; ci sono personaggi quotidiani, che potreste incontrare per le strade del vostro paese, e altri molto meno famigliari e che fareste meglio a evitare.
Certe volte, leggendo le parole di Arona, sembra di trovarsi seduti attorno al fuoco, in una vecchia baita di montagna, e sentire un vecchio narratore dalla voce roca parlare di leggende, ed evocarle lì per te.
Rispetto ad altri lavori precedenti del Nostro, tuttavia, come per esempio "La Stazione del Dio del Suono" (che il sottoscritto considera l’apice della sua produzione) non tutto gira alla perfezione, talvolta sembra esserci una leggera disparità qualitativa tra le varie parti e i racconti: ce ne sono di notevoli, altri (vuoi forse per il tema trattato) appaiono molto meno significativi.
Il centrale “La stanza dei vetri rotti” è il nucleo fondamentale del libro, uno degli episodi migliori, forse il migliore del lotto, con il tema degli specchi, rituali antichi, demoni e tanti altri temi cari ad Arona e che il nostro giostra alla perfezione, in un crescendo apocalittico.
Il racconto è seguito da “Codalunga”, meraviglioso delirio autostradale che, per atmosfera, mi ha portato alla mente echi Kinghiani (detto da me può non sembrare, ma in questo caso il riferimento è da intendersi in un’accezione assolutamente positiva) e sfocia ne “L’olio del morto”, terzo racconto che si staglia sugli altri, soprattutto per il soggetto estremamente suggestivo.
Altri episodi, come il "Caso Bobby Fuller", narrato in prima persona da... be’ non velo dico per non rovinarvi la lettura, risultano meno incisivi e stimolanti, più prevedibili, soprattutto se confrontati ai precedenti.
Il libro si conclude con il tristissimo episodio che dà il titolo al libro, un racconto desolante che ti fa invecchiare di decenni in un sospiro, e che mi ha portato a fare diverse riflessioni, anche sul Nostro, che però tengo per me, o al massimo condividerò con lui.
Voto: 7,5
[Ian Delacroix]

Incipit dal racconto “Magia in un castello spagnolo”
«Un’ispirazione!, Un’ispirazione!», aveva implorato in silenzio il poeta pochi metri prima del ponte del Diavolo. Come una magica risposta, un pensiero, proveniente da chissà dove, si era srotolato con andatura serpentiforme lungo i binari della sua mente:
“A qualsiasi ora tu l’attraversi, la Città Grigia sembra morta. È così perché sta per arrivare Pippo. Che piova o che risplenda il sole, che siano le prime ore del mattino o l’ora del Vespro, sempre le strade appaiono deserte e le rare botteghe si presentano desolatamente vuote”.