Acqua e sangue

di Patrick McGrath - pagine 203 - euro 15,00 - Bompiani

Patrick McGrath è l’autore di “Follia”, che a quanto pare, vuoi per il successo di pubblico ottenuto, vuoi per la versione cinematografica, resta il suo lavoro più conosciuto. “Acqua e sangue”, invece, è una raccolta di racconti edita antecedentemente al suo successo (1988), anche se tradotti molto più tardi (2003), per ciò che riguarda la Bompiani.
Al di là dell’eccessivo prezzo di copertina, che ne fanno un libro facilmente reperibile in promozioni e svendite varie, “Acqua e sangue” non è un cattivo lavoro, anche se mostra i difetti che ci possiamo aspettare da un autore che ha sfondato, quando apre il cassetto dei suoi primi lavori.

A fianco ad alcuni pezzi decisamente validi, sia per le idee che li reggono, sia per il modo in cui sono sviluppate, ve ne sono alcuni che, forse, si sarebbero meritati una revisione, non tanto dal punto di vista linguistico, quanto da quello del soggetto.
Ci sono infatti alcuni passaggi a vuoto, sebbene inseriti in una qualità in media discreta.
Il racconto che apre la raccolta, per esempio, ha un aspetto disturbante e malato, e unito alla scrittura vagamente barocca e all’etereità della trama, riesce indubbiamente a catturare. Ma se, come si conviene, si presenta un pezzo d’apertura che “spacca” si prosegue a corrente alternata, passando da racconti di buona fattura, ad altri decisamente poco originali o mal sviluppati.
Così, si resta piacevolmente straniti da brani in cui una bambina trova, cura e poi veglia il cadavere di un esploratore africano nel giardino di casa sua, situata in piena Gran Bretagna (e passi non si specifichi il perché e il per come), oppure si resta avvinti quando una maledizione indiana fa crescere una mano sulla fronte delle persone toccate fino a ucciderle, rimanendo comunque viva dopo il delitto. Si storce però il naso in altri pezzi in cui c'è una banale scelta di io narrante inconsueto, che appare tecnicamente ingenua e inefficace. Ci si riferisce, in particolare, a un cadavere visto con gli occhi di una mosca o a una carestia dal punto di vista di uno stivale in pelle. Racconti da salvare solo per lo stile, che è in ogni caso personale e scorrevole.
Migliori, invece, altri pezzi che non cercano di stupire, ma si limitano a una narrazione vivace, con ottimi climax e livelli di pathos, e decisamente ben gestiti a livello di trama (Tra questi, "La malattia del sangue", "Marmilion", "La storia di Arnold Crombeck").
In conclusione un libro che si merita la promozione, con 3-4 racconti su tredici, buoni, 4-5 più che sufficienti e qualche caduta di tono, che però, attenzione, dipende soprattutto dalla malizia del lettore.
Voto: 7
[Gelostellato]

Incipit dal racconto “L’angelo”
Immagino che voi conosciate la Bowery. Fu lì che vidi per la prima volta Harry Talboys. A quel tempo facevo lo scrittore, e vivevo in un palazzo di cinque piani senza ascensore vicino al dormitorio maschile. Non mi accorsi, allora, che Harry Talboys viveva nello stesso edificio, anche se ovviamente conoscevo bene il forte odore di incenso che ammorbava i piani inferiori. Quando lo incontrai, ero già mezzo stordito da quell'aria rovente tipica di Manhattan in piena estate, allorché un calore liquido incombe sul corpo della città come un incubo, e ogni attività si riduce a un languido scambio di carne e fluidi, sudori e oppressione, e tutti gli organismi sani semplicemente vegetano. Senza dubbio, io stavo vegetando: mi alzavo tardi, a giorno fatto, e dopo alcuni minimi gesti alla scrivania, mi dirigevo al negozio di liquori. Fu durante uno di quei viaggi, su un marciapiede coperto di spazzatura, e puzzolente di piscio, sotto un sole feroce, avvolto nel mio sudore, che incontrai per la prima volta Harry Talboys.