Virus. Lasciatevi contagiare dalla paura

di Sarah Langan - pagine 404 - prezzo 16,00 - Kowalski

Nella cittadina di Corpus Christi, nel Maine, qualcosa di veramente cattivo è in agguato. Questa cosa senza nome avrà la sua occasione quando James, un allievo della scuola in gita coi compagni nel vicino bosco di Bedford, sparirà senza lasciare tracce. Lois Larkin, la sua insegnante va nel bosco a cercarlo, e là incontrerà qualcosa. Nel frattempo in città cominceranno ad accadere alcune strane cose.

Sono ormai molti anni che nel Maine accadono cose. Stephen King ha spesso seminato il terrore in quei boschi e adesso Sarah Langan ne raccoglie i frutti. Corpus Christi potrebbe essere tranquillamente una delle apparentemente innocue cittadine del re, ma quello che abita il vicino bosco è di sicuro imparentato con una sostanza che impregna ogni racconto e ogni romanzo del grande scrittore americano: il terrore. La Langan ne raccoglie le indicazioni e omaggia alla grande King inventando, sulla falsariga dei suoi lavori meglio riusciti, una cittadina appestata e una nuova convincente incarnazione del male. Lois Larkin subisce l'incredibile trasformazione da scialba perdente a potente conduttore, e da quel momento per Corpus Christi non ci sarà più nulla da fare.
Come spesso nei libri di King, anche qui la parte più avvincente è nell'intrecciarsi delle storie dei protagonisti e la riuscita caratterizzazione li rende non solo credibili, ma persino possibili, in un mondo dove la cattiveria nuota sotto la superficie apparentemente calma di quella che si rivelerà una fragile apparenza e nulla più. Ogni personaggio ha già in sè il germe che, nutrito dal marciume che abita il bosco, prenderà lentamente il sopravvento sulle sue fragili buone intenzioni, trasformando presto un delizioso piccolo paesino nel varco attraverso cui irromperà l'Apocalisse.
Il ritorno del male è un tema assai caro a tutti gli scrittori horror, e Sarah Langan apporta il suo contributo ad un tema che, seppure molto sfruttato, risulta sempre attuale. L'omaggio al re impregna ogni pagina di un romanzo riuscito sotto ogni punto di vista. Certo la mancanza assoluta di originalità può minare un lavoro alla base, ma la Langan riesce a rinverdire, semplicemente ricalcandole, vecchie atmosfere care al Fedele Lettore del primo King. I terribili sotterfugi e l'ipocrisia sociale sono un terreno molto fertile e, come molti autori prima di lei, Sarah Langan usa al meglio tutti gli stereotipi della cittadina di provincia americana.
La Corpus Christi di oggi altro non è che l'erede delle miriadi di cittadine del passato, il cui equilibrio precario viene rotto irreversibilmente da un banale incidente quotidiano. E se da Peyton Place in poi non è più stato possibile credere nell'ingenuità della provincia, è di sicuro con la Castle Rock di King e le varie Hampstead di Peter Straub o Everville di Clive Barker che si è definitvamente aperto un varco sugli infiniti possibili abissi che inconsapevolmente popolano lo sterminato territorio americano dell'incubo.
Sarah Langan ha abilmente combinato tutti questi elementi per ricordarci che se a noi le nostre città sembrano invivibili in realtà, nella fantasia le cose possono essere assai più pericolose, e che dopotutto il traffico non è il peggiore dei mali in cui un onesto cittadino può incorrere anche là nella deliziosa e tranquilla provincia americana.
Voto: 7
[Anna Maria Pelella]

Incipit
D’inverno, il buio ti sorprende. Non ho ancora finito di cenare, e il cielo è già nero. L’elettricità non c’è più, così la sera mi oriento alla luce delle candele. La fiamma getta ombre che prendono forme strane e familiari. Gli animali sono tutti morti, anche gli scoiattoli e i conigli. A pensarci bene, non sento più nemmeno i grilli. Attraverso le fessure delle finestre e il camino non passa che l’ululare del vento e, in sottofondo, gemiti quasi impercettibili.
Ma cominciamo dal principio: c’era una volta.
C’era una volta Corpus Christi, una cittadina sonnolenta, serena. Le sue mattine erano tranquille, disturbate solo dal suono dei cucchiaini che giravano il caffè e delle radiosveglie sintonizzate a basso volume sul notiziario. La nostra era una comunità molto unita e affiatata, e d’estate i nostri bambini scorazzavano liberi. La notte i più piccoli giocavano a nascondino sui prati davanti alle case mentre i più grandi si portavano di nascosto la birra sulle sponde del fiume. Pensavano tutti di averla fatta franca, come se il resto di noi non ricordasse con tenerezza quei riti di passaggio.