King Kong

di Edgar Wallace - pagine 201 - euro 7,90 - Newton Compton

New York, anni '30. Denham è uno spericolato regista deciso a tutto pur di stupire il suo pubblico. Dopo essersi impossessato di una misteriosa mappa parte per un avventuroso viaggio per mare alla ricerca dell'Isola del Teschio, lo seguono Driscoll e il suo equipaggio e la bella Ann, un'attrice squattrinata. Giunti sull'isola gli avventurieri trovano un ambiente selvaggio e straordinario abitato da letali animali preistorici e dal terribile Kong, un gigantesco gorilla che rapisce Ann. Dopo un drammatico inseguimento Driscoll e Denham riescono a liberarla e a catturare l'animale per portarlo a New York. Ma in breve tempo la forza bruta del gorilla prenderà il sopravvento.

"King Kong", scritto dal giallista Edgar Wallace, è un piacevole romanzo di avventura che rispolvera il mito della Bella e la Bestia. Malgrado qualche ingenuità narrativa, probabilmente dovuta all'età non più giovane di questo libro, la trama coinvolge e diverte fin dalla prima pagina anche perchè regala numerosi momenti di azione e di avventura. Voto: 7,5

Incipit
Persino nella penombra del crepuscolo e dietro il velo un po' ondeggiante di neve, si capiva che il Vagabondo non era altro che una modestissima vecchia nave da carico. Neppure l'occhio più fantasioso e romantico avrebbe potuto scorgervi quella linea asciutta, quei contorni affilati che si immagina siano indispensabili in un'imbarcazione pronta a salpare per una disperata avventura.
Per navi come quella, la scalcagnata banchina dell'Hoboken era più che adatta. Lì si mescolava nell'insignificante sfondo di una vecchia e modesta città, camuffandosi in una consona nullità. Lì era al sicuro da ogni imbarazzante confronto con le grandi signore di linea che innalzavano regali e immacolate prue verso le ombre dei grattacieli di Manhattan.
La ciurma sapeva bene che le palpitavano in corpo motori più che adatti a spingerne dolcemente avanti la vecchia prua ormai stondata, anche a quattordici nodi l'ora, contro i marosi o l'inferno stesso. E sapevano anche che quei motori erano custoditi da uno scafo bello e solido e affidabile, così come la scura camera d'acciaio, che tanto li disorientava mettendone più d'uno in soggezione.
Gli uomini di terra, comunque, attirati su lungomare da quella nostalgia che sovente anima colore le cui vite sono limitate a piccole scrivanie e brevi corse in treno come pendolari, esaminavano i suoi fianchi arrugginiti e incrostati e, da profani, borbottavano: "Buon Dio, non chiameranno quella una nave d'altura!".