Santanta

di Danilo Arona - pagine 116 - euro 9,00 - Perdisa Editore

A quanto pare qualcosa si muove, tra gli autori italiani di narrativa fantastica, nel senso più ampio del termine. E Danilo Arona è indubbiamente tra quelli che si muovono di più, viaggiando a briglie sciolte anche nei labirinti della piccola editoria. Stavolta lo troviamo in un piccolo libro (per dimensioni) edito dalla Perdisa, marchio di un gruppo editoriale di Bologna con buone intenzioni e, vista la cura adottata per questo lavoro, buonissime potenzialità.

Di Arona tutto si può dire eccetto che se ne stia con le mani in mano: giornalista, scrittore, musicista, critico cinematografico e parecchie altre cose è autore, come ci dice la bio sul suo sito, di innumerevoli articoli e racconti, nonché di una nutrita produzione letteraria, in parte recensita nella sezione libri del sito. Siamo, quindi, di fronte a un autore su cui non solo riponiamo la nostra fiducia di lettori, ma cominciamo anche ad aspettarci dei buoni lavori.
Con questo lavoro l’autore non delude.
Il libro, come tutti i suoi “colleghi” di collana, è piuttosto breve e si divora in poco più di un paio d’ore. Quasi simile ad un racconto lungo, dunque, ma con la peculiarità tipica di un romanzo di contenere diverse piccole (buone) idee e una discreta gamma di personaggi.
Il titolo, a prima vista misterioso, introduce e illumina su tutta la vicenda.
Siamo a Marina del Rey, California, e il Santanta non è nient’altro che il Santa Ana, un vento caldissimo che soffia dal deserto del Mojave con caratteristiche di irregolarità, intensità e mistero a dir poco fuori dall’ordinario.
La gente ammattisce, i crimini aumentano e cominciano a succedere cose strane, soprattutto quando al Vento del Diavolo si legano le tradizioni degli indiani Chumash e lo sfruttamento che l’uomo bianco continua a perpetrare nei loro confronti. Ecco che il racconto, narrato dal Manuel, il giornalista spagnolo di Palo Mayombe, diventa qualcosa di più che narrativa d’evasione, legando le vicende letterarie a quelle (vere, ci dice l’autore in una nota finale) relative allo smaltimento illegale di rifiuti tossici e alle speculazioni edilizie della buona vecchia California.
California che peraltro si respira in tutto il libro, compresi personaggi e colonna sonora, e non solo nell’ambientazione.
Guardando il libro dal punto di vista letterario, benchè la vicenda non sia, in fin dei conti, “niente di che”, va dato atto all’autore di essere riuscito, con una scrittura essenziale e asciutta, a creare un buonissimo climax nella seconda parte del libro. È qui che si sviluppano le idee migliori, cogliendole in parte dalla realtà, piegata al punto giusto per essere “buona da narrare”.
A voler cercare qualche critica, la si trova nello zapping temporale dei primi capitoli, che disorientano inizialmente il lettore, e sul fatto che il libro, benchè assolutamente gradevole, lasci un pò quella sensazione di appetito, quel languore del lettore che si accorge di pretendere di più, da un autore che pare avere parecchia stoffa e soprattutto, scrive in modo molto onesto.
Lavoro pienamente riuscito, che arricchisce e si lascia ricordare, ma stuzzica l’appetito a qualcosa di più sostanzioso
Voto: 7
[Gelostellato]

Incipit
27 giugno, l'anno prima
Lo spazio cosmico è una bocca nera vorace.
Spalancata a dismisura oltre ogni confine non concepibile dall'umano cervello e punteggiata da galassie, supernove, buchi neri e corridoi ultradimensionali.
Chi l'attraversa per mestiere o sete di avventura si augura ogni secondo che non abbia mai a chiudersi di colpo.
I sette astronauti eruttano paura, gioia e adrenalina. La missione STS 117 sta volgendo al termine.
Il Discovery, dopo dieci giorni di ancoraggio al laboratorio spaziale orbitante, si è staccato con estenuante lentezza dall'International Space Station e adesso sta percorrendo l'ultima orbita attorno alla Terra per portarsi nel corretto assetto ed effettuare la manovra di rientro. L'ora dell'atterraggio è stata posticipata dal Centro Controllo NASA di Houston.
Anche la destinazione è stata cambiata. Le condizioni atmosferiche sopra la pista del Kennedy Space Center in Florida hanno subito un netto peggioramento per colpa di uno strato nuvoloso formatosi a ottocento piedi di altezza.
Il rientro è stato perciò rimandato di sei ore e spostato dal Kennedy alla base Edwards nel Mojave, in California. Un deserto spettrale quanto mai favoleggiato e ben presente nell'immaginario di tanti dal momento che qui di sicuro il Pentagono testa numerosi prototipi e armi segrete. Dove, molto meno sicuramente, compaiono nottetempo UFO e altre luci strane impegnate in bizzarre scorribande. Chiamata un tempo Muroc Dry Lake, la base ha assunto il nome attuale dopo l'incidente in cui morì il pilota Glenn Edwards, precipitato sulle sabbie nel giugno del 1948 ai comandi di un'ala volante Northrop XB-49, velivolo antesignano del bombardiere Stealth.