Tarot - Ludus Ermeticus

di Autori vari - pagine 330 - euro 12,60 - Edizioni XII

Dodici autori per ventidue racconti, ispirati all’inconografia e al significato degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, in cui si scandagliano le sconfinate opportunità della narrativa: horror, sci-fi, thriller, noir, fantasy, umorismo. Non ci sono barriere, se non quelle della fantasia.
Il coraggio per scommettere su un’antologia così corposa, messa in piedi da autori emergenti, non manca di certo alla neonata Edizioni XII. Farsi strada in un mercato piratesco, dove sembra che nessuno sia interessato a una raccolta di racconti di neo-scrittori di genere, sarà difficile e impegnativo, e già questo è tanto per lodare la passione con cui i capoccia Daniele Bonfanti e Luigi Acerbi, curatori di questo volume, hanno dato vita all’iniziativa (su un’idea di Enrico Proserpio).
E ora, a noi.

Tarot va apprezzato per la lodevole idea di partenza e per il modo in cui i racconti sono collegati tra di loro attraverso un sottile fil rouge - la figura di Ermete Trimegisto. Si respira aria di novità, di qualcosa di fresco e originale. A dimostrarlo, introduzione e outroduzione, che giocano e si burlano intelligentemente degli autori, evitando sterili masturbazioni letterarie.
L’apertura è affidata al racconto migliore, sotto qualsiasi aspetto: Il matto, di Francesco Angelo Lanza. Ispirato ad Andy Kaufman, le sue parole sono ora ironiche ora commoventi, e creano a un brano fatto di episodi isolati ma che, nel loro insieme, toccano il cuore.
Ottime conferme sono date da Ian Delacroix - che, con l’accoppiata L’imperatrice / La luna, firma un soffocante ritorno al passato nel primo caso, e una paranoia senza speranza nel secondo - e Daniele Bonfanti - l’angosciante e imperscrutabile La giustizia, e l’ottimo esempio sci-fi de L’eremita.
Impressionante poi la precisione chirurgica della prosa di Luigi Acerbi, che con il fantascientifico La ruota regala uno straordinario romanzo in miniatura (dispiace davvero vedere una storia così complessa e dal così alto potenziale imprigionata in venti misere cartelle), e con La temperanza un saggio su come scrivere fantasy senza per forza parlare di elfetti irritanti, orchi bavosi, principesse viziate e compagnia magica.
Altri buoni spunti possono essere pescati tra le prove di Giordano Efrodini (la dolce e romantica accoppiata La papessa / L’innamorato), di Davide Cassia (i divertenti Il papa / Le stelle, che soffrono solo di un finale non ispirato quanto i pimpanti inizi), e di J. Romano (scrittura nera, immagini fantasiose, anche se forse troppo implicite).
Non districhiamoci nel fare ulteriori distinzioni. Basta dire che i racconti che rimangono hanno pregi tali da invogliarne la lettura (vuoi per un particolare scenario o per una trama singolare), ma anche qualche lato negativo che si fa sentire (stili acerbi contrapposti a prose pretenziose, idee semplici ma che non lasciano il segno, racconti interminabili tirati per le lunghe, e altri dolori di questo genere, che causano brontolii, borbottamenti e occasioni mancate). È un fattore che ahimè non passa inosservato, soprattutto se si fa un confronto con gli squisiti esempi narrativi sopraccitati.
Spesso, poi, si ha la sensazione che una certa pesantezza di fondo avrebbe potuto essere alleggerita snellendo i brani più monolitici, in funzione di un maggiore impatto - visto che privare l’opera anche di un lavoro soltanto avrebbe reso inutile il progetto iniziale.
Ma è un dogma delle antologie, avere racconti riusciti e racconti meno riusciti. E, in fondo, ognuno qui dentro può trovare i propri pollici su o giù: le mie preferenze sono ricadute su quelli menzionati, ma anche tu, che stai leggendo i miei pensieri baldanzosi, potresti pensarla esattamente al contrario, lodando i brani che chi scrive non riesce a fare. È naturale.
Un ultimo accorgimento va rivolto a piccoli screzi di uniformità visiva che mancano all’appello: capitoli numerati in un racconto con i simboli romani e in un altro con quelli arabi, brani dove i nuovi paragrafi cominciano a inizio pagina e altri privi della minima numerazione. Sono piccoli particolari che non inficiano assolutamente la lettura (e vengono perdonati di fronte alla cura data nel confezionare copertina e immagini varie), ma l’occhio attento vuole la sua parte, ed è giusto che la pretenda.
In definitiva, Tarot si mostra come un buon prodotto (dal prezzo contenuto e invitante), che più di una volta raggiunge altissime vette di qualità. Ma, purtroppo, non è esente da difetti: chi scrive è certo che si tratta di bruschi angoli che verranno smussati un po’ alla volta. Basta pazientare un po’ e guardare con fiducia al futuro, dove Edizioni XII si sta ritagliando piano piano il suo spazio.
Voto: 6,5
[Simone Corà]

Incipit (dall'introduzione)
Verso metà serata, Enrico posò sul tavolo un mazzo di carte e assunse la sua migliore espressione ieratica. Con una voce impostata e vibrante, alzatosi in piedi, annunciò all’intera tavolata che ci avrebbe predetto il futuro. Molti di noi erano impegnati a bere, scherzare, qualcuno a guardare la formosa barista, qualcun altro sembrava immerso nei propri pensieri; nessuno inizialmente gli prestò attenzione.
«Suvvia, ragazzi, abbiate almeno un po’ di rispetto per le carte, oltre che per il malto e per la carne!» sbottò lui, notando che la proposta non aveva sortito la reazione sperata.
Giusto perché gli ero vicino, diedi un’occhiata alle fantomatiche carte e notai che si trattava di un mazzo inusuale, che riconobbi come un mazzo di Tarocchi. Mosso da curiosità, iniziai a scorrerlo, soffermandomi sulle figure degli Arcani Maggiori. Le carte erano nuove, plastificate e lucidissime, ma prima che potessi ultimare il mio esame Enrico se le era riprese in mano.