I bambini di Pinsleepe

di Jonathan Carroll - pagine 270 - euro 16,00 - Fazi editore

Che Jonathan Carroll sia uno bravo, è una sensazione che si ha sia durante che dopo la lettura, ma che “I bambini di Pinsleepe” sia un lavoro perfettamente riuscito è una cosa che non si riesce a dire.
Il romanzo è il terzo lavoro del cosidetto “sestetto delle preghiere esaudite”, che ha come protagonista il regista Weber Gregstone e l’ambiente hollywoodiano. In particolare, in questo libro, il miglior amico di Weber, il regista di film horror Philip Strayhorn, si uccide misteriosamente e Greg, assieme alla vedova dell’amico e a un ex-comico di successo, comincia ad indagare sulle cause che hanno ingiustificatamente portato Philip alla morte.

Quasi subito si imbatte in Pinsleepe, una bambina di otto anni che è incinta di se stessa e che gli dice e dimostra di essere un angelo, ordinandogli poi di rimediare al male che il film horror dell’amico ha generato. In mezzo a fatti inquietanti, ad altre morti misteriose e alle rivelazioni sorprendenti di Pinsleepe, Greg comincia a girare delle scene, scoprendo che ciò che ha portato al suicidio Philip, è sempre di più difficile interpretazione.
Il problema principale, però, riguarda proprio quest’ultimo aspetto. Alla fine del libro il lettore rimane in uno stato di indecisione e non riesce a capire bene cosa sia veramente accaduto e quale sia il vero ruolo di Pinsleepe e di tutta la vicenda. La tensione si stempera pian piano, lasciando spazio ad un finale che non scioglie tutti i nodi e che lascia l’amaro in bocca. Questo perché non si è di fronte a uno di quei libri in cui il “non detto” è lasciato all’interpretazione del lettore e fa parte della bellezza del raccontare stesso. Carroll, alla fine del libro, pare non voler nascondere niente; non ci sono passaggi di difficile od oscura interpretazione, non ci sono notizie non svelate. L’unica fonte di incertezza che l’autore ci propone è data dal fatto che non tutti i personaggi dicono la verità ed è per questo che, a fine libro, si ha quasi la sensazione di trovarsi in mano una bomba che non è esplosa e che ormai non lo farà più. Resta il sospetto di aver dimenticato qualcosa, di essersi persi qualche passaggio, ma la scrittura immediata e il narrare in prima persona dello stesso Weber dissipano subito questo dubbio. Rileggere, probabilmente, non servirebbe.
Considerato questo difetto dell’opera nella sua visione complessiva, meno si può contestare al suo svolgimento nel particolare. La scrittura di Carroll è sempre asciutta ed elegante, con dialoghi credibili e (non troppe) idee spiazzanti. All’interno del libro figurano poi due racconti, lasciati dal suicida, che sono senza dubbio tra le cose più interessanti, a che chi ha già letto la raccolta “Tu e un quarto” conosce già, bruciandosi una buona cinquantina di pagine. (Pollice per la casa editrice, in questo caso, che fa pagare due volte la stessa cosa).
In conclusione un’opera discreta, scritta con stile, ma che non è sicuramente tra le migliori dell’autore americano, trapiantato a Vienna.
Voto: 6,5
[Gelostellato]

Incipit
Un'ora prima che si sparasse, Philip Strayhorn, il mio migliore amico, telefonò per parlarmi dei pollici.
«Hai mai notato che quando ci laviamo le mani trascuriamo i pollici?».
«Scusa, in che senso?».
«È il dito più importante, ma siccome è sistemato lì da una parte, lontano dagli altri, non lo laviamo per bene. Gli diamo una sciacquata, tutt'al più una sfregatina, ma certamente non gli riserviamo la cura che meriterebbe per tutto il lavoro che fa. E probabilmente è anche il dito che si sporca di più».
«Mi hai chiamato per dirmi questo, Phil?».
«E molto importante, a livello simbolico. Pensaci... Che cosa stai leggendo in questo periodo?».
«Commedie, testi teatrali. Sto ancora cercando quello giusto».
«Ho incrociato Lee Onax, l'altro ieri. Dice che sarebbe ancora disposto a darti mezzo milione di dollari se lavorassi per lui».
«Non voglio più fare film, Phil. Sai come la penso».
«Sì, lo so. Ma cinquecentomila dollari ti farebbero proprio comodo per il tuo gruppo teatrale».
«Cinque dollari sarebbero già un grande aiuto. Ma se adesso tornassi indietro e girassi un altro film, forse troverei la cosa così divertente e stimolante che probabilmente mi verrebbe voglia di riprendere a fare del cinema».
«Hai presente i centoquarantamila tipi di suplizi dell’Eneide? Mi chiedo quale si adatti a te. “Non voglio essere più una stella di Hollywood perché la cosa mi turberebbe”. Pena numero 1387».
«Da dove chiami?».
«Los Angeles. Non abbiamo ancora finito il montaggio».
«Come si intitola?».
«Delitti di Mezzanotte».