Abattoir

di Ian Delacroix - pagine 144 - euro 8,00 - Edizioni XII

È un incubo. Di quelli senza spiragli di luce. Che ti avvolgono con unghie nere di tenebra.
Poetico come una notte senza stelle. E brutale come pece bollente gettata in pieno volto.
È nel ricordo e nel rispetto verso l’orrore più genuino e classico che fa muovere le sue dita indemoniate Ian Delacroix, sinistro narratore di paesaggi ostili e figure tentatrici.

È un universo incantatore, quello che crea parola dopo parola, dove convivono tremende aberrazioni umane e paure primitive. Un universo che è bellezza e morte, lirica e bizzarria. Come profumo di cimitero illuminato dalla luna. Cupo.
Undici racconti.
Undici storie perfide che annegano il lettore in un vortice di squisitezze maligne che richiamano una prosa ora antica e dimenticata, ora più moderna e vigorosa, ora lugubre e seducente.
È puro oblio, quello che si respira in L’oratorio di Natale, angosciante fuga di un uomo da un luogo freddo e inospitale, mentre suggestioni orrorifiche e ancestrali bagnano il terreno su cui poggia i piedi.
È crudeltà in versi, la vicenda che prende vita in Mattatoio, insospettabile marmellata splatter, che sorprende.
È disincanto e fiabesca malvagità, l’avventura del giovane Valerio in Vieni, tra le mie braccia, dove lo spettro carnoso e delirante di Clive Barker appare per portare scompiglio.
È disturbante immaginazione, il circo di Non chiedergli il colore dei fiori, dove rigetti della natura racchiudono perle di spropositata bellezza e di ineffabile ferocia.
È un devoto omaggio, la trilogia della Scatola. Tre racconti, con una stessa, beffarda protagonista: una scatola dalle misteriose origini. Schernitrice. Burlona. Spietata.
È macabro umorismo, quello che pervade Il funerale, scherzosa messinscena di una festa d’addio, con tanto di bara, prete, pubblico piangente e, per sottolineare la drammaticità della situazione, battute a go-go.
È scioccante delirio, quanto esposto nel museo de La locanda alla fine dei mondi, prova pregna di un curioso lirismo e di temi inusuali ma molto cari a Ian.
È buio sconvolgente, Silenzio lunare, dove Ian approda nella terra del Sol Levante per richiamare un cinema e una letteratura fatti di silenzi e di attese, dove si torturano le piccole cose, le più semplici.
E infine, è astratta poesia, quella che ricama Alla deriva, racconto particolare e difficile, fatto di magnetismi e immagini.
Non c’è un racconto inferiore a un altro, né pause o attimi di stasi. Abattoir è un luna park dimenticato, un lungo tunnel soffocante, un continuo saliscendi emozionale. Merito anche di una scrittura ora leggermente meno ambiziosa e assetata di lessico che in passato, ma più solida, decisa, attanagliante, che ricerca le storie, i personaggi, l’atmosfera, lasciando in velato secondo piano il puro lirismo.
Un plauso inoltre a Edizioni XII, agguerritissima new entry nella selvaggia giungla dell’editoria, che confeziona un prodotto completo ed elegante, bello alla vista quanto alla lettura. Prezzo esiguo e tanta qualità.
Ian Delacroix è ora più che mai una certezza della narrativa di genere. La salvezza di una precisa identità stilistica, colpevolmente sempre più lontana dalle sue veri radici.
Acquisto indispensabile per chiunque bazzichi il sottobosco. È questo l’horror che tanto agogniamo, rinunciarvi sarebbe un errore imperdonabile.
Voto: 8
[Simone Corà]

Incipit (dal racconto "L’oratorio di Natale")
In periferia i colori sembravano sempre più scuri. Il grigio dilagava dalle vecchie case inglobando il cielo, la spazzatura invadeva la strada e i marciapiedi. In quei giorni di festa l’immondizia si accumulava in pesanti sacchi neri ai margini degli edifici, e i camioncini della nettezza urbana non passavano per le vie. Anche loro erano in vacanza.
Thomas, come ogni anno a Natale, passeggiava per le strade deserte.
La città era una farfalla morta. Decine di migliaia di individui erano ammassati come formiche nei palazzi, intenti a celebrare il rito della famiglia e del focolare. Si potevano intuire dietro le finestre e le tende tirate, nei riflessi dei vetri o nell’eco di una risata.
Un freddo pungente gli penetrò nelle ossa. Si strinse nelle falde del cappotto e del conforto della sciarpa di lana. Non aveva voglia di tornare nell’appartamento deserto, non ancora. Quella passeggiata ormai costituiva un rito per lui. La sua liturgia personale.
Non c’era l’ombra di una macchina per le strade, solo pesanti carcasse che si ammassavano nei posteggi e sui marciapiedi, dove i vigili chiudevano sempre un occhio.
Un cane randagio si muoveva infreddolito tra i sacchi di spazzatura. Thomas valutò l’idea di andare al parco. Non era ancora nevicato durante l’anno, ma quella mattina, quando la città si era svegliata più tardi del solito aveva trovato ad accoglierla una sottile striscia di nebbia, più una bruma invernale che vera nebbia, che non era ancora andata via.