Il condominio

di James Graham Ballard - pagine 189 - euro 7,50 - Feltrinelli

“Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell'immenso condominio nei tre mesi precedenti.”
Comincia così, questo libro, e ditemi voi se non è un inizio perfetto. È impossibile non essere curiosi. Soprattutto dopo che le prime pagine precisano che Robert Laing è una persona sana di mente e ci troviamo in un enorme condominio situato alla periferia di Londra al tempo in cui l’autore sta scrivendo (1975). Non siamo, quindi, in un periodo post-atomico o nel pieno di una guerra, non siamo in un luogo immaginario, eppure “Il condominio” utilizzato da Ballard come luogo dove ambientare il suo romanzo diventa, con l’andare delle pagine, quasi un personaggio.

I fatti, per altro, sono abbastanza semplici: in questo moderno alveare si “rifugiano” molti londinesi che fuggono dal caos della city per precipitare in un altro caos, violento e selvaggio, costituito dalla vita condominiale. Nel giro di tre mesi si passa dalle piccole liti fomentate dai black out a una vera e propria giungla in cui i condomini si isolano dal mondo esterno e vivono secondo la legge del più forte.
Robert Laing ricorda, a tratti, il Robert Maitland dell’”Isola di cemento” e a pensarci bene anche in questo romanzo Ballard narra le vicende che si svolgono in un “isola”. Questo microcosmo, però, non è un luogo dove gli abitanti sono confinati contro la propria volontà o in cui le condizioni di vita, almeno in partenza, appaiono difficili o anormali. Il condominio, al contrario, è uno di quelli (per l’epoca) ricco di comfort e agi moderni; una piccola isola autosufficiente in cui una certo tipo di borghesia londinese può vivere, isolandosi dal mondo e, paradossalmente, isolandosi dai suoi stessi simili. La piscina, il supermercato, lo spaccio di liquori, le scale e gli ascensori, il giardino dell’attico, il parcheggio, sono tutti luoghi che, da semplici accessori, diventeranno simboli di potere. I quaranta piani dell’edificio, facente parte di un complesso di cinque costruzioni simili, rappresentano la scala sociale in cui l’umanità di Ballard si muove.
Il modo con cui l’autore inglese riesce a fondere linguaggio, vicenda e significati è a dir poco geniale: in meno di duecento pagine, attraverso un meccanismo abbastanza classico come una serie di flashback dei diversi personaggi, riesce a costruire una storia tanto assurda, quanto realistica, in cui climax e pathos sono gestiti abilmente per tenere il lettore incollato alle pagine, pur mancando completamente gli elementi del thriller o del giallo.
I mestieri si trasformano in caste, i piani si uniscono in tribù, la civiltà va via via scomparendo, sostituta dagli istinti primordiali, come la fame e la violenza. Una follia lucida ricopre ogni persona ed è causa delle scene più assurde: guerra per gli ascensori, pestaggi, stupri, omicidi. Il tutto con il beneplacito degli stessi protagonisti, che si separano volontariamente dal resto del mondo. Si potrebbe obiettare che è piuttosto inverosimile che un dopo qualche giorno di questi comportamenti nessuno si faccia vivo per controllare cosa sta accadendo, ma non è questa la chiave di lettura giusta. Il condominio è una grande metafora dell’uomo sociale e della convivenza umana; è un esperimento in miniatura per mostrare, in scala ridotta, il significato del “darwinismo sociale”.
Un piccolo capolavoro, che da una pagina all’altra è capace di passare dall’orrore, al grottesco; dal sorriso alla riflessione.
L’obiettivo, alla fine, è unico: descrivere l’uomo e il fascino della sua miserabilità.
Voto: 8
[Gelostellato]

Incipit
Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell'immenso condominio nei tre mesi precedenti. Ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c'era stato un inizio evidente, un momento al di là del quale le loro vite erano entrate in una dimensione chiaramente più sinistra. Con i suoi quaranta piani e le migliaia di appartamenti, il supermarket e le piscine, la banca e la scuola materna - ora in stato di abbandono, per la verità - il grattacielo poteva offrire occasioni di scontro e violenze in abbondanza. Ma il suo appartamento-studio al venticinquesimo piano sarebbe stato di sicuro l'ultimo posto che Laing avrebbe scelto come teatro della prima scaramuccia. Era una cella supervalutata, aperta sostanzialmente a casaccio nella facciata del palazzo, che aveva comprato dopo il divorzio specificamente per la pace, il silenzio e l'anonimato che la caratterizzavano. Nonostante tutti gli sforzi di Laing per isolarsi dai suoi duemila vicini e dal regime di banali controversie e irritazioni che costituivano la loro unica vita di comunità, stranamente il primo evento significativo aveva avuto luogo proprio lì. Su quel balcone dove ora, accucciato davanti a un fuoco di guide telefoniche, si stava mangiando il posteriore arrostito del pastore tedesco, prima di uscire per la sua lezione alla Facoltà di Medicina.