di Ian Caldwell e Dustin Thomason - pagine 464 - euro 8,80 - Piemme
Princeton, uno dei college più illustri degli Stati Uniti. Vigilia di Pasqua. Tom, Paul, Charlie e Gil sono quattro amici che condividono la stessa camera e come tutti gli studenti del loro corso si preparano a consegnare la loro tesi di laurea. Per tutti è un periodo di riflessione, ma anche un momento per ricordare i quattro anni appena trascorsi insieme, la nascita della loro amicizia, gli amori nati e sepolti con le ragazze del corso, i progetti per il futuro.
Tom sta aiutando Paul con la sua tesi: lo studio del
libro "Hypnerotomachia Poliphili", Battaglia d'amore in sogno di
Polifilo, uno dei testi più misteriosi di tutto il Rinascimento, la cui paternità,
la leggenda narra che sia opera di un frate di nome Francesco Colonna, è sempre stata
oggetto di mistero. Per Tom rappresenta un'eredità lasciatagli dal padre, anche lui uno
storico che ha dedicato tutta la vita allo studio del libro, mentre per Paul è un
interesse che ben presto degenera in ossessione, fino a diventare la sua unica ragione di
vita. Tutto sembra procedere normalmente, quando nel campus universitario viene
assassinato Bill Stein, uno studioso anche lui dedito all'analisi del libro. Tom e Paul
saranno costretti a giocare una pericolosa partita contro il tempo, in cui la posta in
palio è la vita, perché è questo il prezzo che l'Hypnerotomachia chiede per rivelare i
suoi segreti.
Codice Da Vinci docet.
Questo è quello che pensavo quando ho comprato il libro, leggendo la quarta di copertina.
Ormai dopo l'uscita del thriller di Brown si sono moltiplicate le uscite di opere
riguardanti lo studio delle opere antiche meglio ancora se affrontano le insidie di codici
segreti e misteri vari. Ero convinto che anche questo potesse essere catalogato come uno
dei tanti. Invece mi sono dovute ricredere, almeno in parte. L'opera infatti, pur
presentando dei punti in comune inevitabili con il suo illustre predecessore, soprattutto
nell'analisi del testo rinascimentale, se ne stacca profondamente per due aspetti: una
migliore caratterizzazione dei personaggi, la mancanza di azione e di suspense.
Ian Caldwell e Dustin Thomason, due amici di lunga data,
rispettivamente storico e medico, riescono a dare un quadro molto preciso dei vari
personaggi, a renderli vivi con i loro dubbi, i loro amori, le paure, le speranze. Scopo
principale del libro, oltre che ad attirare l'attenzione del lettore su una delle opere
più misteriose del Rinascimento, è quello di porre l'accento sull'amicizia dei vari
protagonisti, su come essi lottino per cercare di salvarla da un nemico insidioso e
pericoloso, anche se affascinante: l'Hyperotomachia. Il libro infatti diviene un cancro
che tutto travolge, un'amante che non ammette rivali, avvicinarsi a lei è come entrare in
un mondo da cui è difficile uscire, se non a prezzo di grossi sacrifici.
Una profonda analisi introspettiva che va a discapito dell'azione. Fatta eccezione per le
ultime trenta pagine, di suspense ve ne è poca, anche per la scelta della tecnica di
narrazione, più di metà del libro è un lungo flashback ad opera di Tom, ma questa
soluzione, per come gli autori hanno voluto narrare la loro storia, è forse la più
indovinata.
Definirlo thriller è un azzardo, un'operazione commerciale voluta dagli editori per dare
maggior risalto all'opera. "Il codice del quattro" è la storia
di un'amicizia, della sua dura lotta per sopravvivere all'ossessione e al tempo e come
tale deve essere visto, per poterlo apprezzare in fondo.
Voto: 7
[Nanny Ranz]
Incipit
Mio padre trascorse tutta la vita a ricostruire, pezzo per pezzo, una storia che
gli sarebbe rimasta per sempre oscura. Quella storia ebbe inizio quasi cinque secoli prima
che io mi iscrivessi all'università e si concluse molto tempo dopo la sua morte.
Una sera di novembre del 1497, due messi a cavallo lasciarono le oscure sale del Vaticano,
diretti verso una chiesa chiamata San Lorenzo fuori le mura. Gli avvenimenti di quella
sera cambiarono la loro sorte e mio padre credeva che avrebbero cambiato anche la sua.
Da parte mia, non ho mai dato grande importanza alle sue convinzioni. Del resto, raramente
i figli sono depositari affidabili dei lasciti paterni. Tuttavia mio padre, noto studioso
del Rinascimento, per tutta la vita coltivò la speranza di una possibile rinascita.