L'ultimo alchimista

di Micah Nathan - pagine 393- euro 8,50 - Sonzogno

Eric Dunne ritorna dopo anni all'Aberdeen College, una delle scuole più prestigiose del Connecticut. Visitando quei luoghi, che conosce perfettamente, la mente rivive gli anni in cui era uno studente universitario. Da matricola, grazie alla sua straordinaria abilità nel leggere e tradurre il latino, fu notato da Arthur Finch, studente del quarto anno, assistente del professor Cade, uno dei luminari più importanti dell'istituto. Entrò così anche lui a far parte del gruppo di studio del professore, collaborando alla stesura di una serie di libri sul medioevo, che dovevano far vincere a Cade un importante premio letterario. Purtroppo, quella che sembrava una vita perfetta, fu bruscamente spezzata da un tragico incidente, che cambiò per sempre l'esistenza di Eric.

Opera prima di Micah Nathan. Di norma si dice che bisogna concedere allo scrittore alle prime armi, la possibilità di poter eventualmente attingere allo stile di autori più famosi. Nathan non si sottrae e paga il suo debito: il suo stile infatti mi ricorda a grandi linee quello di King, soprattutto nella meticolosa descrizione degli anni universitari. Ne consegue una lettura amena, che scivola via senza sussulti o rimpianti, senza né gioie né dolori. Non vi sono colpi di scena o momenti che riescono a tenere il lettore con il fiato sospeso. La storia, narrata come un lungo flashback da parte del protagonista, è ricoperta da un sottile strato di malinconia, che l'autore tende a mettere in evidenza a più riprese; la tragedia ormai è compiuta, non si può cambiare il destino. Nathan vuole insistere sulla portata che l'avvenimento ha avuto sulla vita di Eric; il crollo del suo mondo idealistico, la scoperta di un'amara realtà, dove la vita va avanti e ti costringe a non fermarti. Forse è questo l'orrore più grande: la constatazione che tutto può essere sacrificato in nome di un ideale e che non ti è concesso fermarti a riflettere, è un lusso che solo a pochi è concesso e di certo non ad uno studente universitario in piena maturazione caratteriale.
La storia in sé non è originalissima: l'ambiente dei college americani ha da sempre suscitato un fascino ambiguo, con i gruppi di studenti che spesso e volentieri assumono i connotati e le caratteristiche di sette segrete. Forse perché è il mondo in cui si formano le future generazioni, dove è ancora possibile far convivere i sogni, le speranze, le illusioni con la durezza e la crudeltà del mondo che reclama a gran voce la morte del fanciullo e la nascita dell'uomo.
Come opera non mi ha particolarmente entusiasmato, ma essendo un romanzo d'esordio, mi sento di promuovere Nathan, nell'attesa di verificare se avrà sviluppato un proprio stile narrativo o sarà rimasto impigliato nella tela dei suoi maestri.
Voto: 6
[Nanny Ranz]

Incipit
Ricordo bene l'Aberdeen College. Persino ora potrei dirvi come appare in un giorno particolare, a un'ora particolare. Potrei descrivervi il sapore dell'aria e la lunghezza delle ombre proiettate dagli aceri argentei nel cortile, che scorrono tra l'erba come fiumi d'inchiostro. Potrei raccontarvi degli inverni all'Aberdeen, cumuli di neve obliqui e ammantati di ghiaccio, altri alberi nudi che tingono di nero la coltre immacolata. Il fischio del vento che soffia attraverso la foresta, il colore del cielo notturno, puntini bianchi sparpagliati su una tela indistinta.
Non molto tempo fa tornai all'Aberdeen, a casa del dottor Cade, mi incamminai verso il retro, verso lo stagno, che mi aspettavo di trovare come lo rammentavo con maggiore affetto: le canne frastagliate lungo le sponde, nugoli di moscerini che vorticavano senza sosta specchiandosi in una superficie increspata dal vento, grovigli di ceratofili e lenticchie d'acqua che costeggiavano le rive.