Incubi - Nuovo horror italiano

di Paola Barbato, Gianni Biondillo, Mauro Boselli, Andrea Carraro, Vittorio Curtoni, Marcello Fois, Giulio Morozzi, Gianfranco Nerozzi, Aldo Nove, Chiara Palazzolo, Andrea G. Pinketts, Tiziano Sclavi, Nicoletta Vallorani - pagine 333 - euro 17,50 - Baldini Castoldi Dalai

13 storie per altrettanti autori. Alcuni hanno una stretta frequentazione con il genere, come Gianfranco Nerozzi e Chiara Palazzolo, come Tiziano Sclavi creatore di Dylan Dog e Paola Barbato, da alcuni anni prolifica sceneggiatrice del popolare horror comic. Altri provengono da altre realtà come Pinketts, giallista, Curtoni, decano della fantascienza in Italia, Morozzi o Aldo Nove.
La qualità media dell’antologia è abbastanza buona.

Il migliore mi è sembrato Nerozzi che con “Farfalle Rosse” ha realizzato una storia inquietante ma al tempo stesso struggente e carica di significati e tematiche importanti. Lo segue a ruota Boselli, sceneggiatore di fumetti bonelliani qui alla sua prima prova (superata brillantemente) come narratore senza immagini: il suo “Vertigine nera” è un incubo ad alta quota inquietante, onirico e suggestivo. Bene la Palazzolo con “Alia”, una storia pervasa di suggestioni di mitologia greca e brezze mediterranee. Bene anche Morozzi con il suo delirante e visionario “Utero” e la gradevole fusione di horror-sf di Vittorio Curtoni con “Io mordo per primo”.
Il resto dell’antologia è più nella norma, e per la verità alcuni racconti hanno poco da spartire con l’horror inteso nel senso di sovrannaturale. In ogni caso si tratta di una lettura che riserverà più di un piacevole brivido lungo la schiena, e si affranca da buona parte degli stilemi della narrativa anglosassone. E si spera che le case editrici nostrane continuino su questa strada, poiché anche se in questo caso gli autori selezionati sono tutti già abbastanza conosciuti quando non “blasonati”, iniziative come questa vanno incoraggiate dai lettori anche per dare un domani lo spazio e il mercato agli esordienti di oggi.
Voto: 7,5
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit (dall’introduzione di Raul Montanari)
In Danse Macabre (1981) Stephen King osserva che il racconto horror è essenzialmente un racconto di riconciliazione. Il polo apollineo (la ragione, la chiarezza, il buon senso, il quieto vivere quotidiano) viene insidiato da quello dionisiaco (scatenamento di forze nascoste, esplorazione del proibito, destabilizzazione) fino alla ricomposizione finale. Il mutante, l’estraneo, viene identificato, descritto, fatto agire, combattuto e alla fine distrutto. Perciò il genere horror ha certamente un aspetto conservativo: conferma lo status quo, le leggi «naturali» in cui viviamo o ci illudiamo di vivere, mostrandoci visioni delle orribili alternative che ci attendono se le abbandoniamo.
Se le cose stessero solo così, la conclusione sarebbe abbastanza deprimente: l’horror si iscriverebbe tra i generi della narrativa consolatoria, di puro intrattenimento, quella che dice al lettore: «Stai tranquillo, tu vai bene così come sei, tu sei normale, sei giusto; lascia che siano gli altri a cambiare. E se nella realtà che ti circonda si apre uno strappo, una lacerazione attraverso la quale intravedi qualcosa di inquietante o mostruoso, aspetta con fiducia: verrà un eroe a rimettere le cose a posto». Questa descrizione aprirebbe una curiosa contraddizione con un dato di fatto: la stragrande maggioranza, se non la totalità, degli scrittori e dei registi cinematografici che praticano l’horror professa un’ideologia ferocemente antiborghese, da destra come da sinistra, e si propone, come obiettivo artistico e come orizzonte personale, una dura critica nei confronti della società, e in particolare delle sue ipocrisie, dei suoi conformismi, delle regole asfissianti che mirano a nascondere verità inammissibili sulla natura umana e le sue voragini.
Per fortuna, infatti, nell’horror c’è dell’altro. L’esplosione di energia del polo dionisiaco è centrale in questo tipo di narrativa, perché dà al lettore la possibilità di esercitare per procura - delegandole ai personaggi del racconto o del film - emozioni proibite, di riconoscerne in sé la presenza.
Il mostro sei tu. Il mostro sei anche tu. Questa è l’altra faccia della medaglia, l’aspetto eversivo del genere, il veleno che viene sottilmente instillato nel mondo reale e che funziona come il liquido di contrasto che si usa in certi esami clinici: permette di vedere con chiarezza a volte spaventosa il problema di cui si era solo intuita la presenza. Rende visibile il disagio, il malessere, il conflitto che sentiamo agitarsi dentro di noi tra certi istinti selvaggi, incontrollabili, e la ragione che si sforza di dominarli. E se anche alla fine la ragione prevale, riconciliandoci con noi stessi e con le cadenze normali, rassicuranti, della nostra esistenza quotidiana, non potremo non confessare il piacere che abbiamo provato nel vedere manifestarsi queste forze oscure in tutta la loro potenza. Per questo l’horror è un genere che consente la creazione di grandi metafore sociali: parte sempre da uno spunto di rilevanza sociologica, lo elabora creativamente e alla fine lo restituisce al lettore in forma di parabola, di narrazione esemplare.