Black notes

di Roberto Estavio - pagine 106 - euro 8,00 - Magnetica Edizioni

Citando la seconda di copertina: “Questo libro è una confessione personale, è un monologo anche interiore, un racconto che si dipana nei meandri della propria contorta mente e cerca di catturare anche frammenti di quella altrui.”
Parole che sono un ottimo modo per riassumere questo esperimento del giovane autore (letterariamente parlando) Roberto Estavio, che vive e lavora a Padova, come insegnante di sostegno e che si è già fatto conoscere per alcuni lavori di genere horror (si veda, per esempio, l’ebook “Riflessi Macabri”, in collaborazione con Latelanera.com).

Il libro, pubblicato per la collana “I bizzarri”, non presenta elementi “orrorifici”, ma tiene fede alla sua etichetta e si presenta come una vera e propria “SpErimenTazIone letTeraria”. Ponendosi in una terra ibrida tra il diario personale e un continuo flusso di coscienza dell’autore, appare come una serie di pensieri confusi e, a tratti, “naif”, costruiti attorno a una trama quasi assente e a personaggi quantomeno singolari.
Inutile, quindi, che il lettore si aspetti un libro da leggere facendosi rapire da un intreccio avvincente o da una trama ben congegnata. Altrettanto inutile aspettarsi una costruzione narrativa poetica o ricercata.
L’esperimento di Estavio si compone di un coacervo di frasi ed espressioni che hanno l’intento primario di rappresentare il pensiero, sia di chi sta narrando, sia di chi sta leggendo. La narrazione si sviluppa attraverso una prima persona ricca di corsivi, grassetti, cambi di font, segni di interpunzione e maiuscole usate in modo non convenzionale. Una prima persona che, come si specifica all’inizio del lavoro, non è quella dell’autore, ma quella di un ragazzo trentenne incontrato in un bar di Padova e con il quale l’autore stesso ha intrattenuto “chiacchiere” per circa un anno; chiacchiere che poi sono diventate le righe di questi pensieri.
Un esperimento coraggioso, dunque, che non può essere valutato come si potrebbe fare per un romanzo. Attraverso l’originale struttura narrativa, infatti, Estavio parla di solitudine, di indifferenza, di superficialità, di distacco, dei problemi legati al “diventare grandi”. Un amico che ci prova con tutte, una madre con una malattia degenerativa da assistere, una fidanzata “storica” e onnipresente, un lavoro insoddisfacente, l’abuso di alcool e i ripetuti tentativi di entrare in contatto con la società sono solo alcuni dei temi affrontati.
Ovviamente non sempre la lettura scorre, non sempre è facile far scivolare l’occhio sulle righe. Parecchie frasi sfuggono senza lasciare traccia, quasi a far da contenitore, da liquido nel quale i concetti espressi in precedenza nuotano e, a volte, si perdono. Lettura, quindi, che non sempre è gradevole o fluida, e spesso lascia il lettore perplesso, in particolare nella prima parte del libro, quando ancora non si è riusciti ad entrare nel mondo interiore costruito da Estavio.
Un plauso, in ogni caso, al titolo, che nel suo gioco di parole ben raccoglie l’idea portante di questo piccolo, coraggioso esperimento.
Un appunto sulla traduzione del dialetto utilizzato: posta alla fine, nello stesso font utilizzato per il libro, viene “scoperta” solo a libro finito, quando ormai il lettore si è già fatto una traduzione propria.
Un ultimo avvertimento per il lettore che ama leggere senza voler riflettere, facendosi travolgere dai fatti e dall’azione: questo libro non fa per lui. Per chi, invece, ama le atmosfere intimiste e la riflessione, questo libro è un buon esempio, non banale, per esprimere il pensiero.
Voto: 6,5
[Gelostellato]

Incipit
Scuola
Oggi sono andato a scuola, con le palle che mi giravano meno del solito.
Che io là faccio il maestro di sostegno e seguo una bambina che si chiama Arianna, dicono che è una bambina Down, ma per me lei è solo una bambina, è solo.
Avevo anche abbondato con le bevute la sera precedente, conficcato in un piacevole pub che poi è sempre lo stesso.
I baristi mi dicevano raccontaci delle tue vacanze d'estate.
Mentre noi ce ne stavamo a lavorare e sudare.
Ma non sono bastate due pastiglie di Xanax, non riuscivo a parlare e me ne sono tornato a casa.
Poi a letto.