La croce incarnata

di Piergiorgio Pulisci - pagine 424 - euro 20,00 - La Riflessione

Vincent Cave, duro e impavido detective della polizia di New York, è il nemico numero uno de La Croce Incarnata, la più potente e malata setta satanica che il mondo abbia mai conosciuto. Rimasto in fin di vita dopo una trappola organizzata dal suo acerrimo avversario, Martyn Lomax (deus ex machina della setta), Vincent riuscirà a riprendersi e a organizzare una feroce vendetta ai danni dei satanisti. Ma dovrà inoltre fare i conti anche con un imprevedibile serial killer, soprannominato Apocalisse, anche lui affiliato alla setta, che sta facendo impazzire tutti quanti dietro alla scia di sangue che lascia dietro di sé.

C’è voglia di scrivere nel romanzo d’esordio del cagliaritano Piergiorgio Pulisci, voglia che traspare dalla lunghezza del manoscritto, ma soprattutto dalla mole di personaggi ai quali dà vita e dalla capacità di tener botta per oltre quattrocento pagine, traguardo che potrebbe spaventare anche al solo pensarci. C’è inoltre passione e sentimento, bisogna dirlo, nonché anche un pizzico di coraggio nel presentare a una casa editrice un romanzo così lungo. Ma ci sono anche molti, tanti, troppi punti bui sui quali bisogna assolutamente far luce.
A Piergiorgio serve prima di tutta una trama meno fracassona, più lineare, con un minimo di credibilità. La Croce Incarnata, infatti, è fin troppe volte sinonimo di esagerazione, di violenza finta e fine a se stessa, di film hollywoodiano da quattro soldi. La trama forse sfugge al controllo dell’autore, e, preso spunto da questo e da quello, si costruisce da sola attorno al solito detective tutto d’un pezzo che deve vendicare i cari ammazzati dal cattivo spietato e farabutto, e alla sua nemesi Martyn Lomax, leader della setta, delirante e inconcepibile frullatore di atrocità senza né capo né coda. Alla loro lotta si uniscono una serie di personaggi sufficientemente stereotipati, guidati da quell’onore che li dipinge in maniera blanda come buoni puri di cuore che combattono i cattivi senza scrupoli. Cattivi che, tra l’altro, compiono omicidi come mangiassero caffelatte, mettono su un rituale sanguinario ogni due per tre, commerciano bambini e altre scelleratezze che non stanno né in cielo né in terra.
Stupisce infatti la scelta dell’autore di dare risalto, con così grande enfasi, al lato estremista della setta. Già, impressiona più che altro perché, per quanto possa essersi informato e aver preso appunti, dubito fortemente che il mondo satanico possa comportarsi in una simile maniera, dando vita a scena di involontaria comicità da tanta è l’assurdità che traspare dalle azioni dei vari adepti.
Di conseguenza, la trama non è altro che una serie di efferatezze che a lungo andare stancano il lettore, costretto a subirsi per buona parte del romanzo scene uguali l’un con l’altra, che vorrebbero scioccare ma hanno il brutto effetto collaterale di far sbadigliare.
Si nota comunque una sorta di ricercatezza psicologica dei vari personaggi, costruita da figure perlopiù poco innovative, vero, ma che denota almeno la voglia di costruire dei protagonisti di un cero spessore. Così come una buona complessità di fondo nella stesura della trama, intervallata da flashback di discreta tensione, nonché un ritmo costantemente in crescita.
I buoni spunti purtroppo, però, si bloccano bruscamente dinanzi a trovate improbabili, a svolte poco plausibili, a situazioni che più di una volta fanno scuotere la testa, relegandoli di fatto a piccole oasi di creatività narrativa in mezzo a una nebbia romanzata grossolana e pasticciata.
Buona parte della colpa se la deve però accollare anche la casa editrice, La Riflessione, che, se da una parte è da ammirare per aver creduto su un giovane autore e sul suo lunghissimo romanzo d’esordio, dall’altra si merita un rimprovero non da poco per come ha trattato l’opera di Piergiorgio. La Croce Incarnata è un minestrone impossibile da digerire di errori grammaticali, di punteggiatura sbavata e sbrodolona, e di scelte narrative che azzoppano la lettura e infieriscono su di essa. Errori che una casa editrice avrebbe dovuto estirpare del tutto, nonché provvedere a una buona dose di snellimento per rendere più scorrevole la lettura. Il romanzo, infatti, è sprovvisto di un editing che sia uno, cosa assolutamente inammissibile, visto anche il prezzo eccessivo, addirittura venti euro, che non si spendono nemmeno per King o Lansdale, figuriamoci per un autore alle prime armi (non me ne voglia Piergiorgio, ma dubito che un lettore occasionale avrebbe il coraggio di spendere una simile cifra per un romanzo d’esordio di uno scrittore sconosciuto ai più anche nel web). Da aggiungere anche un’impaginazione singolare, bruttarella, poco curata e soprattutto poco gradevole alla vista.
È difficile stroncare il primo romanzo di un giovane autore, fa male al cuore ed è una cosa che si vorrebbe far fare sempre a qualcun altro. Purtroppo, in questo caso, bisogna armarsi di penna rossa e segnare gli errori. Nient’altro.
Il consiglio, a questo punto, è sempre il solito, banale, magari stupido o infantile, ma da lì non si scappa: scrivere, scrivere e ancora scrivere. E leggere, ovviamente.
Voto: s.v.
[Simone Corà]

Incipit
“Sai come si formano gli oceani? Goccia dopo goccia. Ci vuole molta pazienza e molta solitudine...”.
A questa frase pensava mentre guardava preoccupato il mare di sangue che si stava formando ai suoi piedi. Sangue scuro che nella notte illuminata dai sordidi sorrisi delle fiamme, diventava un mare d’argento.
Il frastuono dei pensieri che prima stordiva la sua mente, s’era appena dissolto in un silenzio assordante. Sentiva ogni singolo battito del suo cuore impazzito che esplodeva nel petto. Come una martellata. Come un colpo di pistola. Ma era un suono che proveniva da dentro. Degli altri intorno a lui non aveva più percezione. Le detonazioni delle pistole l’avevano completamente assordato.
Ora solo silenzio. Un silenzio affilato come un rasoio sporco di sangue e pronto a tagliare di nuovo.
“Perché mai in questo momento viene l’ironia che non ho mai avuto?” si chiese l’uomo ferito. “È forse l’ironia della morte?... Non voglio nemmeno pensarci.”
Sentiva ogni secondo di più che stava impazzendo dal dolore. Stava impazzendo sul serio.