di Giacomo Cacciatore - pagine 204 - euro 13,00 - Flaccovio Editore
Giobbe Dilei è un trentacinquenne pieno di insicurezze, senza futuro e senza lavoro. Da quando il padre è tragicamente scomparso, vive con la madre Catena, una donna perfida, possessiva, con una passione quasi folle per l'arte culinaria, capace perfino di uccidere pur di far soffrire il figlio.
Come uscire da questo incubo? Forse solo l'Uomo di spalle,
il misterioso individuo protagonista dei sogni di Giobbe, potrà salvarlo.
"L'uomo di spalle", scritto dal bravissimo Giacomo
Cacciatore, è un noir molto particolare, a metà strada tra la commedia nera e
il dramma. La trama, ricca di spunti originali, coinvolge sin dalle prime pagine merito
anche della brillante e scorrevole narrazione dell'autore. Voto: 8,5
Incipit
No, non chiamarlo amore, questo, avrebbe voluto urlare Giobbe Dilei -
trentacinque anni e una gastrite in incubazione - costernato per essere tornato una volta
di troppo a casa, e solo per necessità. Chiamalo cagna che ringhia sulla cucciolata
cieca. Chiamalo egoismo e ricatto morale, ma amore, no. Dimentica quella parola.
Lei gli stava di fronte e sembrava legata con filamenti invisibili alla
sua poltrona a dondolo. Era ridicola e terribile, immersa nella luce di quel mezzogiorno
d'agosto, le spalle rivolte alla finestra sul giardino, il prendisole di lycra affollato
di margherite. I fiori stampati sulla fibra elastica si erano adeguati negli anni al suo
corpo grassoccio, trasformandosi in girasoli. Perle di sudore le scivolavano giù per i
gomiti, rincorrendosi sui braccioli. La sua testa ondeggiava come per dire sì, sì, e
invece diveca no. No a qualsiasi richiesta di suo figlio.
Catena Ferrante Dilei era un deserto senza giorni, senza tabelle di marcia, senza inizio
nè fine. Le necessità degli altri vi morivano di fame e di sete.
Giobbe si ficcò un dito nel naso, in cerca della parola giusta da dire a sua madre in
quel momento. Il più delle volte riusciva a entrare in sintonia con i silenziosi
movimenti delle sue labbra, a decifrarli, odiarli e infine credervi, ricavandone dei
piccoli vantaggi. Poca cosa.
Quella storia andava così da un'eternità: da prima che sulla targhetta d'ingresso della
loro villa la dicitura "Famiglia Dilei Ferrante" s'ingiallisse e si complicasse
in "Signora Catena Ferrante Dilei, vedova".
Giobbe si avvicinò alla sedia a dondolo.
"Un'altra madre non si farebbe implorare", disse.
La vecchia tirò fuori un sorriso da mercante di beni introvabili in cielo e in terra.
Giobbe odiava quel ghigno tutto storto d'un lato, la cicatrice da filibustiere che le era
toccata in sorte con un'emiparesi. Era come se lo schernisse, di continuo.
"Che fai, mamma, non rispondi?", la incalzò.
La madre gli indicò il dito che manometteva il naso.
"Togliti quell'unghia dalla proboscide, tanto per cominciare. Non ci si
scaccola".
Giobbe obbedì.
"E' il nervosismo", disse.
"Bravo. Fanne un'abitudine. Poi arriva il giorno che se con gente importante e ti
cavi le caccole davanti a tutti. L'hai fatto davanti a Matilde Bellocchio, l'altra volta.
Quella ti riempie di chiacchiere il vicinato".
Me ne fotto della tua vicina di casa! La frase vibrò sulle labbra di Giobbe, ma
non uscì.