di William Goldman - 216 pagine - euro 3,10 - Bompiani
Babe è un brillante studente ebreo che ha due grandi ambizioni: seguire le orme del padre, grande storico morto suicida, e diventare il maratoneta più forte del mondo. Ma i sogni del giovane vengono definitivamente distrutti nel momento in cui, suo malgrado, viene coinvolto in un pericoloso giro criminale, tra spietati nazisti e agenti dei servizi segreti.
"Il maratoneta" è una splendida spy-story, in egual modo crudele e brillante, un thriller ricco di colpi di scena che narra anche quanto l'odio razziale sia purtroppo una realtà difficile da cancellare. Voto: 8,5
Incipit
Ogni volta che passava in macchina per Yorkville, Rosenbaum si arrabbiava, per
principio. La zona della 86a Est era l'ultima roccaforte dei mangiacrauti di Manhattan, e
più presto sostituivano le vecchie birrerie con nuove case d'appartamenti, tanto più lui
ci godeva. Non che Rosenbaum avesse sofferto personalmente durante la guerra (tutta la sua
famiglia infatti si trovava in America fin dagli anni venti) ma il solo passare per strade
dove si respirava mentalità teutonica era sufficiente a far girare le palle a chiunque.
Specie a Rosenbaum.
Tutto gli faceva girare le palle. Basta che un'ingiustizia osasse passargli sotto
il naso, che lui l'afferrava e la strizzava con tutta la bile rimasta nel suo vecchio
corpo settantottenne. I Giants che se ne andavano nel Jersey gli facevano girare le palle;
i negri gli facevano girare le palle, ora più che mai con quella pretesa che avevano di
essere parti a tutti gli altri; i Kennedy gli facevano girare le palle; i comunisti, i
film porno, le riviste sporche, il prezzo vertiginoso del pastrami, bastava nominarli
perchè cominciassero a girargli le palle.
Era un giorno di settembre e Rosenbaum era particolarmente stizzoso. Faceva caldo, stava
andano a Newark e era già in ritardo all'appuntamento con i suoi unici vecchi amici
ancora in vita, che lo aspettavano per la settimanale partita di carte nella loro casa di
riposo. Tre schiappe, ecco cos'erano, tre luridi giocatori, gente lurida, ma ce la
facevano ancora a tirare il fiato, e questo a settantotto anni è già molto.
Neanche loro per la verità potevano soffrire troppo Rosenbaum e le partite le finivano
sempre a urla e insulti; eppure lui ci tornava sempre, perchè non aveva ancora trovato un
modo migliore di passare il giovedì, che già di per sè, in quanto periodo di
ventiquattro ore, gli faceva maledettamente girare le palle.
C'era una canzone che diceva: "il sabato è la sera più malinconica di tutta la
settimana", e ce n'era un'altra che diceva: "lunedì, lunedì, perchè ce l'hai
tanto con me?". Ma Rosenbaum sapeva che era il giovedì il giorno da tenere d'occhio.
In vita sua, tutte le cose storte gli erano capitate di giovedì. S'era sposato di
giovedì; i figli erano morti tutt'e due di giovedì, a distanza di anni, ma sempre di
giovedì: e chi arriverebbe mai a pensare di dover sopravvivere ai propri figli?
Terribile. Rosenbaum aveva fumato tre pacchetti di sigarette al giorno per cinquantacinque
anni, suo figlio invece non aveva mai tirato nemmeno una boccata e allora perchè diavolo
s'era beccato un cancro ai polmoni? E sempre di giovedì gli avevano cavato i denti.