di Jack Finney - pagine 142 - Urania
Una strana psicosi collettiva sta dilagando a Santa Mira, un piccolo paese della California. Numerose persone, infatti, affermano che alcuni loro parenti non sono più loro... l'aspetto fisico, il comportamento, i pensieri sono sempre gli stessi ma qualcosa sembra cambiato.
Miles Bennell, un medico, scopre l'orribile, folle verità. "Gli invasati", scritto da Jack Finney, è uno splendido romanzo di fantascienza che racconta, in modo originale e unico, un'invasione aliena "anomala", diversa dai soliti canoni ma non per questo meno inquietante e spaventosa. Assolutamente da leggere! Voto: 9
Incipit
Debbo avvertirvi, lettori, che il libro che cominciate a leggere è pieno di
problemi non risolti, e di domande che restano senza risposta. Gli avvenimenti riferiti
non giungeranno ad una conclusione, non saranno risolti nè spiegati in modo
soddisfacente. Non lo saranno da parte mia, almeno. Perchè non posso onestamente dire di
sapere che cosa accadde esattamente, o perchè accadde, o semplicemente come cominciò, e
se ebbe una fine. Si tratta di una faccenda nella quale mi sono trovato coinvolto, mio
malgrado. Ora, se a voi non va questo tipo di racconto, ne sono spiacente, e farete bene a
non leggerlo. Io non posso fare altro che riferirvi tutto quello che so.
Per me la cosa ebbe inizio verse le sei pomeridiane, una sera di giovedì
13 agosto 1953, quando accompagnai il mio ultimo cliente, una lussazione al pollice, alla
porta laterale del mio studio, convinto che la mia giornata lavorativa non fosse ancora
giunta al termine. E mi augurai di non essere un medico, perchè di solito nel mio
mestiere dei presentimenti come questi sono fondati. Una volta sono partito per le ferie,
sicuro di ritornare dopo uno o due giorni; cosa che avvenne puntualmente, infatti, a causa
di un'epidemia di rosolia. Sono andato a letto talvolta, stanco morto, sapendo che dopo un
paio d'ore avrei dovuto alzarmi per recarmi in macchina in qualche fattoria.
Sedetti alla scrivania, aggiunsi una annotazione nella cartella clinica del mio cliente, e
bevvi un sorso di cognac medicinale allungato con soda, cosa questa che non faccio quasi
mai. Ma lo allungai con la soda quella sera e, mentre guardavo giù nel Corso, dalla
finestra che si trova dietro la scrivania, centellinai la bibita. Avevo dovuto operare una
caso d'appendicite improvvisa, e non avevo mangiato, a mezzogiorno. Mi sentivo nervoso e
quindi pensai di distrarmi guardando giù nella stradam tanto per cambiare.
Così, quando udii bussare leggermente alla porta esterna, quella della sala d'aspetto,
decisi di far finta di niente, in modo che, chiunque fosse il visitatore, se ne andasse al
diavolo. Ora, questo si può fare in qualsiasi professione, ma non nella mia.
L'infermiera se n'era andata (probabilmente era giunta ai piedi della scala prima
dell'ultimo cliente, data la sua rapidità!), e io, per alcuni secondi me ne rimasi là
con un piede sul radiatore, davanti alla finestra, a guardare giù nella strada e a dirmi
che no, non sarei andato ad aprire neanche ora che bussavano un seconda volta. Non faceva
ancora buio e non era ancora sceso il crepuscolo, ma non vi era già più la luce piena
del giorno. Qualche luce al neon s'era accesa, e il Corso sottostante appariva vuoto, alle
sei pomeridiane, da queste parti, quasi tutti erano a pranzo, e io mi sentivo solitario e
depresso.