di Thea Von Harbou - pagine 127 - euro 0,77 - Gruppo Newton
In un futuro imprecisato, Metropolis è un'enorme città controllata totalmente dalle macchine. Questa, come un essere vivente fatto di cemento e metallo, si "nutre" del lavoro di milioni di uomini/operai ridotti ad una sorta di apatica schiavitù. Con l'unico scopo di distruggere Metropolis, uno scienziato costruisce una donna robot che diventa la folle guida di una rivolta.
Thea Von Harbou con il suo "Metropolis" ha creato un romanzo dal sapore apocalittico e biblico; visioni futuristiche ed evocative si mescolano ad elementi gustosamente romantici. Voto: 7,5
Incipit
Ormai il rombo del grande organo si era trasformato in un ruggito, e premeva,
come un gigante che cercasse di issarsi in piedi, contro il soffitto a volta, nel
tentativo di sfondarlo per andare a disperdersi nell'aria libera.
Fredere rovesciò il capo all'indietro, mentre gli occhi fissavano intensamente, senza
vederlo, un punto davanti a loro. Le mani creavano la musica dal caos delle note;
lottavano con la vibrazione del suono e lo facevano fremere fin nel profondo più intimo.
Non era mai stato così vicino alle lacrime nella vita e, in quella felicità disperata,
urlò con tutto se stesso per l'emozione che lo inebriava.
Sopra di lui, la volta del paradiso in lapis lazuli; lassù, il mistero avvolto
dodici volte su se stesso, i Segni dello Zodiaco in oro. Sopra di quelli, i sette cinti
dalla corona: i pianeti. Ancora più in alto, lo stormo argenteo delle stelle
scintillanti: l'universo.
Davanti agli occhi umidi dell'uomo, al suono della musica, le stelle del cielo iniziarono
la solenne e impotente danza.
L'esplodere delle note dissolse la stanza nel nulla. L'organo che Freder suonava si
stagliava ora in mezzo all'oceano: una scogliera contro la quale lo onde si infrangevano
spumeggiando. Con le creste cariche di spuma, si lanciavano violentemente in avanti, e la
settimana era sempre la più forte.
Ma, alte sopra il mare, che mugghiava nel ruggito delle onde, le stelle del cielo
danzavano la loro solenne e impotente danza.
Scossa fino nelle sue profondità più remote, la vecchia Terra si destò dal letargo. I
suoi torrenti si inaridirono; le montagne si frantumarono. Dai crepacci apertisi
all'improvviso eruppe il fuoco. L'organo iraggiò luce, fu una ruggente torcia di musica.
La Terra, il mare, l'organo impetuoso, si infransero e divennero cenere.
Ma alte sopra i deserti e le profondità spaziali, verso le quali la creazione si era
irradiata, le stelle del cielo danzavano ancora la loro danza solenne e impotente.
Poi, dalle grigie ceneri disperse, librandosi su tremanti ali incomparabilmente stupende e
solitarie, sorse un uccello dalla piume ingioiellate. Emise un grido lugubre: nessun
uccello aveva mai emesso un grido tanto disperato.