Three

Titolo originale: Sān Rén Xíng
Regia: Johnnie To
Cast: Louis Koo, Zhao Wei, Wallace Chung, Lo Hoi-pang, Cheung Siu-fai, Lam Suet, Mimi Kung, Timmy Hung, Michael Tse, Raymond Wong, Jonathan Wong, Stephen Au, Mickey Chu
Anno: 2016
Nazione: Hong Kong
Durata: 97 minuti

Trama

Shun viene scortato al pronto soccorso dal capo Chen e dalla sua squadra, la quale dichiara di aver incidentalmente ferito alla testa il sospettato nel corso di un interrogatorio piuttosto movimentato. La dottoressa Tong, il neurochirurgo in servizio, vorrebbe procedere con la delicata operazione di rimozione del proiettile, ma Shun si oppone, nella speranza che i suoi sottoposti vengano a salvarlo. Intanto Chen, che ha capito le motivazioni di Shun, decide di stare al suo gioco per catturare tutta la banda.

RECENSIONE

Tre persone si fronteggiano in un pronto soccorso: la dottoressa Tong, il detective Chen e il sospettato Shun. Tutti e tre sono intenzionati a far prevalere la propria volontà, la dottoressa vuole salvare Shun, che a sua volta vuole scappare prima di essere ridotto all’immobilità dall’operazione, immobilità della quale Chen potrebbe approfittare per ucciderlo. Ma Shun è più veloce e mentre sta per essere anestetizzato dichiara di non dare il consenso all’operazione, Chen decide quindi di approfittare del cambio di scenario per tentare di catturare anche i sottoposti di Shun i quali sicuramente si organizzeranno per aiutarlo a scappare.
Johnnie To ha ancora una volta costruito un incastro perfetto, i tre protagonisti sono in uno stallo solo apparente, qualsiasi azione di uno di loro scatena la reazione uguale e contraria degli altri due, senza che l’equilibrio del tutto subisca nessun cambiamento, ma questo solo fino alla messa in campo di forze esterne causata dall’intrusione sulla scena della banda di Shun.
Sono molti i motivi per apprezzare questo nuovo lavoro di To ma sopra tutti c’è la stilizzazione dei temi estetici cari al regista che, come sempre, si distingue per la maestria con la quale inquina le acque già poco calme nelle quali lascia lo spettatore a navigare. L’ambiguità morale nella quale si dibatte il capo Chen è solo la più evidente, appena un gradino più sotto c’è quella della dottoressa Tong, cinese di nascita che opera a Hong Kong dopo molti anni di duro lavoro per arrivare là e per questo motivata a trascendere l’umana impotenza di fronte ai limiti dell’intervento chirurgico, e questo è il tema centrale nelle scelte che porteranno la situazione a precipitare molto più velocemente di quanto ci si sarebbe aspettati. Se la dottoressa avesse accettato il consiglio del suo capo e fosse andata a riposare, è forse possibile che Shun non avrebbe avuto la possibilità di scappare, causa prima di tutto il movimento della seconda parte del film è appunto la testardaggine della dottoressa nel voler tacitare la propria coscienza di fronte all’inevitabile fallimento della precedente operazione.

La tendenza di To a umanizzare il dilemma e a rendere plastica la possibilità di abdicare alla morale è qui il punto forte dell’intera rappresentazione: Chen vorrebbe che Shun morisse mentre Tong lo vorrebbe salvare, e in tutto questo Shun cerca contemporaneamente la fuga e la vendetta. Fatto salvo il tentativo di ciascuno di arrivare per primo al compimento del proprio fato, la storia regala alcuni dei momenti più epici del cinema di To, il quale cesella la seconda parte del film come fosse un videogioco, con un bullet time portato all’estremo ed estetici schizzi di sangue in CGI, a piena dimostrazione del fatto che la realtà non può sperare di essere mai all’altezza della fantasia del regista, il quale la piega come fosse un foglio di carta al suo desiderio di completezza estetica.
Il sangue scorre copioso da subito in sala operatoria, con suggestive inquadrature dell’interno di un cervello mentre subisce un’operazione, per poi sparire di colpo nella scena più caotica rimpiazzato dalle espolsioni e dai vetri infranti, altri topoi dello stile mai eguagliato di To.
Un granitico Luis Koo presta il volto a Chen e, senza quasi mai cambiare il tono della recitazione, risulta assai convincente nel ruolo di regista e primo attore della tragedia della deontologia poliziesca, mentre Zhao Wei (Vicky Zhao) è una dottoressa fin troppo umana per fronteggiare il cattivissimo Shun di Wallace Chung, il quale passa senza neanche un attimo di smarrimento dalla perfidia vendicativa alle convulsioni originate dal proiettile vagante.
Il titolo cinese “Tre persone che camminano” deriva dai Dialoghi di Confucio, in particolare la parte che recita “Se ci sono tre persone che camminano, tra di loro ci sarà un maestro” e allude alla possibilità di imparare da chiunque in ogni circostanza.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)