La danza della realta'

Titolo originale: La Danza de la realidad
Regia: Alejandro Jodorowsky
Cast: Brontis Jodorowsky, Pamela Flores, Jeremias Herskovits, Alejandro Jodorowsky, Bastián Bodenhofer, Andrés Cox, Adan Jodorowsky, Cristóbal Jodorowsky
Nazione: Cile, Francia
Anno: 2013
Durata: 130 minuti
Tratto da La Danza della realtà di Alejandro Jodorowsky

RECENSIONE

Storia autobiogrfica del regista, che racconta la sua infanzia a Tocopilla, in Cile, durante gli anni del governo di Ibanez.
Questa è la storia di Jaime, ebreo ucraino di fede comunista nel Cile che si avvia alla dittatura, è la storia della sua opposizione al nascente regime e dei suoi tentativi di fare la differenza. Una storia raccontata attraverso lo sguardo di suo figlio Alejandrito, erede della capigliatura del nonno e santo designato, a cui suo padre insegna a non credere in Dio e a mostrarsi forte. Ed è anche la storia di Sara, moglie di Jaime e madre di Alejandro, la cui voce per suo figlio è musica e poesia insieme, e che gli insegna il potere della magia.

Alejandro è soltanto un ragazzo nel Cile degli anni trenta, ma il suo nome e le origini della sua famiglia ne fanno un bambino molto particolare. Sua madre è convinta che sia benedetto dallo spirito del nonno, un ebreo ucraino morto anni addietro in un incidente. E per questo lo protegge da tutti i tentativi di suo padre di farne un pompiere e un soldato al servizio di una resistenza impossibile al nascente potere che negli anni sconvolgerà la sua patria.
La crisi economica è alle porte e i comunisti cileni temono per la propria incolumità. Ibanez appare come un pericoloso dittatore, in realtà il suo governo sarà solo un assaggio di quello che in seguito accadrà nel paese. Jaime decide così di andare a Santiago per uccidere l’oppressore e da allora la sua famiglia non avrà più sue notizie per molti anni.
Questo per quanto concerne la storia, ma la parte più avvincente, come sempre in Jodorowsky, è la rappresentazione. Usando il filtro della nostalgia per un’infanzia remota, seppur ancora viva in tutta la sua forza, Jodorowsky racconta senza sconti tutto il dolore per una diversità mai riconosciuta da suo padre, il quale ritiene sia un marchio inestinguibile di corruzione morale e mancata realizzazione maschile. Una diversità incomprensibile a un uomo il cui unico dio è Stalin e che non potrà mai trovare spazio nel suo cuore per la fragilità, se non troppo tardi e dopo averne esperito ogni possibile sfumatura allo scoprire in sé in germi della fascinazione per il nemico. Il racconto acquisisce forza a mano a mano che la rappresentazione si fa più surreale. Le immagini circensi sono solo la superficie, sotto la quale si cela una complessità tale da richiedere più di una visione. Jodorowsky sa bene come evocare il fantasma del passato senza per questo piangere sulle proprie sorti, anzi rendendo il tutto più avvincente con una generosa spruzzata di realismo magico e molte immagini attinte ai miti familiari e generazionali della sua avventurosa origine.
Alejandrito conserva gelosamente nel suo cuore bambino i miti ricorrenti della sua famiglia, e usa a più riprese immagini simboliche per spiegare quello che le parole non potranno mai esprimere.
Ed è così che il semplice racconto dell’infanzia di un abile scrittore, diventa magia attraverso le immagini prestate alla mitologia e al ricordo di un passato che appartiene alla storia, molto più che a chi ne ha vissuto ogni momento e ancora ne ricorda le emozioni che lo hanno reso ciò che è oggi.
Jodorowsky ha ancora molto da raccontare e molte delle sue immagini sono esse stesse piccoli racconti, nella storia più grande che li avvolge tutti. E allo spettatore non resta altro da fare che affidarsi al potere taumaturgico del racconto, come se il semplice fatto di esser stati là con lui anche solo per un paio d’ore, avesse di colpo il potere di contagiare tutti col dono improvviso e inaspettato della guarigione da un passato doloroso.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)