Le origini del Male

Titolo originale: The Quiet Ones
Regia: John Pogue
Cast: Jared Harris, Sam Claflin, Olivia Cooke, Erin Richards, Rory Fleck-Byrne, Laurie Calvert
Produzione: USA
Anno: 2014
Durata: 98 minuti

TRAMA

Oxford anni ’70; il professor Coupland, insieme a due giovani studenti e ad un cameraman, porta avanti un esperimento sulla giovane Jane Harper, con tendenze suicide, volto a dimostrare che le “presunte” possessioni demoniache della ragazza sono solo frutto della sua psiche, cercando così di farle esternare per poi rimuoverle come un cancro. Si ritira con il suo team in una villa isolata per continuare l’esperimento, documentando tutto. Ma le certezze del professore sulla natura psicologica delle presenze verranno presto smentite.

RECENSIONE

“Etichettare” i film dell’orrore come “tratti da una storia vera” è stato, a partire da pietre miliari del genere (si pensi a Non aprite quella porta e simili), veicolo per lo sbanco dei botteghini e sinonimo di paura assicurata. È stato, dico, perché a mio parere non lo è più. Sia per l’abuso che di questo espediente è stato fatto, sia per la spesso scarsa qualità che si nascondeva dietro a prodotti “tratti da una storia vera” hanno fatto diventare questa caratteristica uno dei più banali cliché. È il caso di questo Le origini del Male, che della storia a cui si è ispirato non riprende praticamente nulla, sbagliando a mio parere; spulciando su internet, infatti, e leggendo le vicende legate al cosiddetto “Philip Experiment” (molto meno angoscianti invero, ma proprio perché “vere” o presunte tali, sicuramente con possibilità di maggiore impatto), si capisce quanto questa regia abbia voluto giocare sul sicuro, divenendo mainstream già nelle scene iniziali. La storia è banale che più banale non si può, di racconti di possessioni demoniache sono pieni i Blockbusters, con una non-variazione sul tema in fatto di scelta del “possessore” (infatti la divinità mesopotamica c’era anche nel ben più valido Sinister). Nella prima metà del film non succede nulla, ma davvero! I personaggi sono stereotipati (i ricchi stronzetti e colti studenti di Oxford, il professore che sa più di quello che vuol farci credere, il reporter intelligentissimo ma chiuso, la ragazza bellissima e posseduta), la location volutamente (e banalmente, sic!) immersa nel nulla e enorme, con sottotetti labirintici e bui, le solite bambole/tramite, e gli immancabili filmati stile “found footage”. Le riprese si costruiscono in parte con la tecnica tradizionale, in parte con la prospettiva del cameraman che riprende e documenta. La fotografia comunque non è eccelsa, mancano i momenti di tensione anche visiva, e i pochi che ci sono il più delle volte preludono a... niente! Nella seconda parte del film le cose sembrano farsi interessanti (mi riferisco alle sequenze in soffitta), si inizia a sviluppare un percorso narrativo che poi viene abbandonato, complicando allo spettatore la comprensione del film; questo accade in almeno altri due punti del film, tanto che alla fine della visione, se si ha un occhio un minimo allenato, ci si rende conto delle tante occasioni mancate dal regista per rendere più avvincente e intrigante la trama (dato che ci si è allontanati dalla vicenda originale, tanto vale osare un po’ di più). Un paio di “salti” per lo spavento si possono anche fare, ma sono prevedibilissimi e sempre giocati sullo shock uditivo (impennata del volume, urla) o visivo (facce e volti che si manifestano). Ultima cosa, banalissima citazione da banalissimo film (L’altra faccia del Diavolo), e tanta tanta noia. Unica nota positiva, la bellissima e (in potenza) bravissima Olivia Cooke. In generale comunque un film che non solo non ci lascia niente, ma si poteva benissimo evitare e di cui non sentivamo il bisogno.
Voto: 4,5
(Matteo Massari)