Snowpiercer

Regia: Bong Joon-ho
Cast: Chris Evans, John Hurt, Song Kang-ho, Tilda Swinton, Ed Harris, Ko Ah-sung, Jamie Bell, Octavia Spencer, Ewen Bremner, Alison Pill, Vlad Ivanov
Produzione: Corea, USA, Francia
Anno: 2013
Durata: 125 minuti

TRAMA

Dopo l’arrivo di una nuova era glaciale che ha condotto all’estinzione la razza umana, i superstiti hanno trovato asilo a bordo dello Snowpiercer, un treno in moto perpetuo che circumnaviga il globo terrestre. Ma il treno è rigidamente diviso in classi, e i passeggeri dei vagoni di coda preparano una rivolta per assumere il controllo della locomotiva.

RECENSIONE

Tratto dalla graphic-novel francese “Transperceneige” di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette, “Snowpiercer” è la prima produzione in lingua inglese di Bong Joon-ho, che si affaccia sui mercati esteri grazie al notevole sforzo produttivo della CJ Entertainment. E bisogna ammettere che, rispetto ai deludenti exploit internazionali dei suoi connazionali Kim Jee-woon e Park Chan-wook, Bong ha ottenuto un risultato invidiabile, senza scendere a compromessi o rinunciare alle proprie esigenze artistiche. Se “The Last Stand” era uno svogliato action-movie girato col pilota automatico e “Stoker” era azzoppato da una sceneggiatura di rara idiozia, “Snowpiercer” fila come un treno (appunto), e il regista riesce nell’ardua impresa di realizzare un blockbuster intelligente (un vero e proprio ossimoro).
Lo Snowpiercer è un microcosmo della vecchia società, quella che si è estinta con la glaciazione, e ne ripropone la medesima struttura classista, che tende per sua stessa natura al collasso entropico. I diseredati, quelli che sono stati ammessi a bordo senza biglietto, sono ammassati come animali nei vagoni di coda, nutriti con miserande barrette proteiche d’incerta provenienza. Il Quarto Stato, segregato in un tenebroso antro, un accumulo di letti a castello, stracci e cianfrusaglie che rammenta un incubo di Dickens, sogna però la rivolta contro le élites, che abitano i vagoni di testa. Guidati da Curtis e dal suo mentore Gilliam (un ottimo John Hurt), gli umiliati e offesi si apprestano a scatenare una ribellione, che gli permetta di assumere il controllo della Sacra Locomotiva. Ma la sceneggiatura di Bong e Kelly Masterson elude le soluzioni troppo semplicistiche (vedi l’affine “Elysium” di Neill Blomkamp), e non dimentica di insinuare che le rivoluzioni possono anche essere orchestrate dall’alto, al fine di mantenere lo status quo.
Inoltre Bong e Masterson tratteggiano perfettamente i personaggi in fase di scrittura, con una verve ironica che surclassa il Terry Gilliam dei tempi migliori. Dal fascistoide Primo Ministro Mason, con tanto di dentiera e querulo accento britannico (una superba Tilda Swinton), all’esperto di sistemi di sicurezza tossicodipendente Namgoong Minsu (un sublime Song Kang-ho), la cui figlia Yona possiede doti di chiaroveggenza, fino al cinico (o realistico?) Wilford di Ed Harris, il multimiliardario che ha ideato il treno, il quale vive asserragliato all’interno della Sacra Locomotiva come un hobbesiano Mago di Oz, tutti possiedono la nitidezza di una corrosiva acquaforte all’acido nitrico.
Se inizialmente la struttura orizzontale, l’attraversamento di un treno alla “Runaway Train” di Konćalovskij, appare claustrofobica e limitativa, Bong sfoggia talmente tante invenzioni di regia, che ad altri basterebbero per dieci film. Dopo lo scontro iniziale all’arma bianca con i miliziani di Mason, risolto come una sinfonia di colori di stampo impressionista, una sequenza nella quale si contrappongono il biancore abbagliante della neve, il verde marcio dei visori notturni, il baluginare rossastro delle fiamme, ogni vagone riserva una sorpresa. Come lo stesso Snowpiercer, ogni vagone è un ecosistema chiuso, ma via via che ci si avvicina alla testa del treno l’atmosfera s’incupisce. Dopo l’aula scolastica nella quale un’invasata Alison Pill magnifica le qualità del munifico Wilford ai bambini, con un intermezzo musicale degno di un Disney sotto l’effetto del kronolo, Curtis, Minsu e Yona sprofondano in una decadente atmosfera da Overlook Hotel (“Shining” è esplicitamente richiamato nella colonna sonora con la canzone “Midnight, the Stars and You”), in cui si svolge una festa che non avrà mai fine. Macabro preludio sia all’agghiacciante confessione di Curtis (un sorprendente Chris Evans) che a una conclusione tutt’altro che consolatoria.
Con buona e defintiva pace di Marx, molteplici stilettate d’humour nero affondano nel cuore della lotta di classe; ritorna il gusto del regista per il pamphlet satirico ibridato con il film di genere (vedi “The Host”), nonchè l’irresistibile eccentricità di alcune invenzioni (la metafora della scarpa, il capodanno, il sushi), tutti elementi che sono il vero carburante che alimenta i motori hi-tech dello Snowpiercer. Il piacere del grottesco e dell’arabesco non riesce però a celare un marcato pessimismo di fondo, riassunto nella splendida inquadratura finale, in cui la miseria umana si specchia nello sguardo sognante di un orso polare.
Girato a Praga, con il fondamentale contributo dello scenografo Ondrej Nekvasil, del direttore della fotografia Hong Kyung-Pyo e della colonna sonora di Marco Beltrami, “Snowpiercer” travolge sferragliando almeno dieci anni di fantascienza americana. Per nostra fortuna, la locomotiva Bong Joon-ho non accenna ad arrestarsi.
Voto: 7,5
(Nicola Picchi)