Titolo originale: Pontypool
Regia: Bruce McDonald
Cast: Stephen McHattie, Lisa Houle, Georgina Reilly, Hrant Alianak, Rick
Roberts (voce), Daniel Fathers (voce), Beatriz Yuste, Tony Burgess, Boyd
Banks, Hannah Fleming, Rachel Burns, Laura Nordin, Louis Negin, Diane
Gordon, Daniel Park
Soggetto e sceneggiatura: Tony Burgess
Fotografia: Miroslaw Baszak
Montaggio: Jeremiah Munce
Scenografia: Lea Carlson
Costumi: Sarah Armstrong
Produzione: Stati Uniti
Anno: 2008
Durata: 93 minuti
Nella tranquilla cittadina di Pontypool, la neve sembra non essere l’unico problema vero da affrontare. La radio locale apre i microfoni per diffondere musica e dar voce alle notizie del giorno; basterà questo perchè si faccia veicolo di un misterioso virus che fa impazzire le persone.
Il film si basa su un plot semplice che, proprio per questo,
rischia di traballare vistosamente se non coglie nel segno le figure
chiave.
Alla base c’è il concetto che “il non visto”, se raccontato con la
giusta intonazione, acquista una consistenza e un peso specifico.
Ne fu precursore Orson Welles con il suo programma via radio che provocò
il panico nella popolazione americana quando voleva essere solo
l’adattamento, molto realistico, della libro “La guerra dei mondi” di
Herbert George Wells.
Erano le ore venti in punto del 30 ottobre 1938, di acqua sotto i ponti
ne è passata parecchia e ormai la radio è stata abbandonata dal grande
pubblico. La televisione impera nei salotti delle famiglie e gli effetti
speciali ci permettono di limitare al minimo indispensabile la fantasia.
Qui invece lo spettatore è chiamato ad un massiccio utilizzo dell’immaginazione per riempire l’assenza assordante di scene che spieghino
cosa sta accadendo.
Bisogna scegliere un istrione che possa guidare con voce calda e
comunicativa il carrozzone di una radio di paese - trovare uno Stephen
McHattie così ispirato è senz’altro un ottimo colpo per la storia, il
suo Grant Mazzy è un personaggio che sa catturare la scena in tutto e
per tutto - un uomo che cerca di rivendicare la propria identità, la sua
professionalità che sembra aver perso ad una svolta sbagliata del suo
percorso personale.
Il contorno è ridotto al minimo.
L’attenzione deve essere focalizzata sul microfono, sul gabbiotto della
radio, sulla vena affabulatoria dello speaker che fa di tutto per
gestire l’emergenza che man mano che questa va crescendo per le strade
della città.
Voci sempre più frammentarie, sconnesse, provengono dall’esterno.
Il senso di oppressione si stringe sullo spettatore che prende posto
accanto all’attore nel suo gabbiotto radiofonico finchè l’orrore non
bussa letteralmente sul vetro.
La prima parte della pellicola cresce tono su tono. Perdiamo le
sicurezze del mondo esterno man mano che anche le piccole bugie
radiofoniche vengono a galla (il reporter sul campo non è su di un
elicottero ma si muove in macchina, con il sottofondo delle pale rotanti
registrate).
Riusciamo a cogliere nell’espressione di Grant Mazzy la sincera
apprensione per Sidney Briar (l’assistente di produzione) che è a sua
volta preoccupata per i suoi cari; come può far sapere loro che lei è
viva?
Dolce l’illusione di poterla aiutare mettendo in modalità loop la frase
“Sidney Briar è viva”. Diabolica la possibilità che proprio quella frase
abbia contribuito alla proliferazione del virus.
Già, un virus diabolico che si trasmette tramite la parola, - la lingua
inglese è portatrice sana nonchè quella più diffusa – di cui non si può allertare nessuno per non cadere nella perdita di senso, nella
reiterazione e infine nella follia.
Nella seconda parte tocchiamo con mano l’effetto che il virus fa su un
limitato numero di infetti. Provvidenziale è la presenza di un
professore (alquanto buffo) che riesce a spiegare cosa fa e come si
manifesta la follia prima di cadere lui stesso nel loop (con uscita di
scena ancora più buffa).
Purtroppo la seconda parte prende una piega tendente al comico e si fa
fatica a mantenere le ottime premesse della prima parte.
Ma togliendo queste mancanze rimane un prodotto valido, innovativo nel
suo genere pur essendo debole nella parte “filmica” vera e propria.
A questo punto è ovvio e scontato consigliarlo in lingua originale
almeno per provare l’ebbrezza del rischio di rimanere infettati.
Voto: 8
(Simone Gentile)