Carnage

Regia: Roman Polanski
Cast: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly
Anno: 2011
Nazione: Usa
Soggetto: ispirato a “God of Carnage” di Yasmina Reza
Durata: 79 minuti

TRAMA

Due coppie piuttosto dissimili si incontrano per discutere dello scontro avvenuto tra i loro due figli.
La diversità di vedute, e la scarsa volontà di confrontarsi davvero, creeranno una situazione difficile che finirà per replicare il conflitto avvenuto tra i ragazzi, e ampliare le differenze tra i quattro.

RECENSIONE

Era dai tempi di “Chi ha paura di Virginia Woolf?” che non si metteva in scena un conflitto tra borghesi piccoli piccoli così incisivo.
Polanski fissa il suo sguardo impietoso ben oltre la maschera di buone disposizioni e concilianti intenti, costruendo, con la complicità di quattro attori in stato di grazia, una convincente rappresentazione dell’inferno personale di chi mai avrebbe pensato di esser costretto a mettere in discussione la propria idea di sé.
L’input è banale: una lite tra ragazzini che però degenera in violenza. L’apparenza conciliante dei genitori è presto messa alla prova dalla vicinanza, che finisce per diventare confronto, nello spazio ristretto che i quattro condividono per tutta la durata dell’incontro.
Ciascuno ha le sue manie e le sue convinzioni sotterranee e niente di quel che si vede all’inizio risulterà vero, alla fine. La facciata cordiale presto si sfalda per fare posto a un girotondo di alleanze e guerriglie emotive, e l’ironia iniziale finisce per mutarsi in sarcasmo.
La tensione sale sotterranea, mai esplicita e fa capolino nella narrazione attraverso sbalzi subliminali, che spesso ammiccano più che raccontare apertamente ciò che davvero c’è da sapere.
Il tutto è reso con la regia più tesa e sbilenca che si possa immaginare, con l’occhio di chi, mentre guarda, non può fare a meno di sentirsi coinvolto dapprima, e disgustato poi.
Nascosta tra l’erba ben curata della riuscita sociale si annida una primitiva divinità che invoca alla carneficina e Polanski, come pochi altri prima di lui, usando uno sguardo disincantato apre la via alle alleanze segrete con lo spettatore. Nessuno dei personaggi raffigurati è interamente buono o cattivo, ma insieme tutti incarnano la parte di noi che vuole vedere il sangue.
Raccontata con stile e perfetta sincronia, questa ennesima messa in scena della realtà che si nasconde nell’animo umano ha radici lontane e nello stesso tempo attuali. Il racconto si snoda con rabbia e con un umorismo tagliente, mentre la staticità della rappresentazione mette ben in chiaro il fatto che, in secoli di rappresentazioni teatrali dei conflitti umani, nulla è cambiato, se non il modo che abbiamo di spazzare sotto il tappeto delle convenzioni la nostra natura più nera.
La regia sobria e totalmente scevra di sottolineature, sostiene con garbo quel che alla fine è solo una rappresentazione teatrale, la cui forza reale sta nella capacità degli attori di reggere la tensione della presenza costante in scena.
I quattro protagonisti brillano a turno sotto i riflettori dello smantellamento progressivo del sé, con una menzione speciale per la coppia Winslet/Waltz che si sfalda per prima, con il gusto dissacratorio di chi sa per certo che, dopo un simile confronto, gli ingenui interlocutori pacifisti e irritantemente buonisti non vedranno più le cose alla stessa maniera.
Mentre lo spettatore, che avrà accettato ancora una volta di essere accompagnato nella platea dell’ennesimo teatro a vedere la solita storia di cattiveria umana, scoprirà con un certo grado di divertimento che, talvolta, la consapevolezza di essere in presenza di uno stereotipo, non vuol dire necessariamente sapere davvero come questo si confermerà.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)