A serbian film

Titolo originale: Srpski Film
Regia: Srdjan Spasojevic
Cast: Srdjan Todorovic, Sergej Trifunovic, Jelena Gavrilovic, Katrina Zutic, Slobodan Bestic
Produzione: Serbia
Anno: 2010
Durata: 99 minuti

TRAMA

Milos è un attore porno che si è ritirato dalla professione. Un giorno riceve una proposta da un ex collega: tornare sul set per interpretare un porno di nuova concezione, in cambio di una somma considerevole. Con famiglia a carico e in difficoltà economiche, Milos accetta. Quando si renderà conto del vero obiettivo di Vukmir, il regista del film, sarà troppo tardi per tirarsi indietro.

RECENSIONE

Non sempre la strada dell’eccesso a tutti i costi è sinonimo di riuscita, ma è comunque un buon viatico per sollevare polveroni mediatici. E’ il caso di “A Serbian Film”, esordio del regista Srdjan Spasojevic, che ha suscitato in rete vivaci polemiche. Da una parte abbiamo le levate di scudi dei detrattori, spesso scandalizzati a priori, dall’altra l’adesione incondizionata di chi grida al capolavoro. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. “A Serbian Film” è ben lontano dall’essere una pietra miliare del cinema, ma non è neanche il pozzo di nequizie prospettato da certi indignati moralisti, rivelandosi un prodotto ben confezionato che gioca abilmente con la provocazione più virulenta. Pur interpretando in maniera letterale il concetto di torture-porn, il film non è ascrivibile alla categoria degli “Hostel” e dei “Saw”, di cui gli manca la dimensione essenzialmente ludica, e non può essere considerato neanche un film sugli snuff, alla stregua dell’esecrabile “8 mm.” di Joel Schumacher.
Tralasciando le considerazioni metacinematografiche eventualmente suscitate dalla struttura del film, che oramai dovrebbero far sbadigliare anche chi le scrive, è palese come lo scopo sia quello di propinarci una trasparente allegoria, la cui validità è tutta da dimostrare: la Serbia, al pari di Saturno, divora i suoi stessi figli, brutalizzandoli dalla culla alla tomba (e anche oltre) ed educandoli alla violenza e allo stupro. Far indossare ai cameramen uniformi paramilitari, alludere agli orfani di guerra o al Tribunale dell’Aja, tirare in ballo i supposti eroi di guerra della Grande Serbia nazionalista di Milošević, serve a chiarire le idee anche ai più disattenti. Necessario preludio alla morte è lo stupro, inteso non tanto come espressione della libido, quanto come un atto che simboleggia la violazione dei limiti. Milos, drogato di “Viagra per tori” (sic), diventa una figura assimilabile al berserk delle leggende norrene, un automa guidato dall’istinto di morte e dalle direttive imposte dalla classe dirigente (il regista, il fratello poliziotto). Completamente ottenebrato, non gli resta che perpetuare ancora una volta il ciclo della violenza. Tutto bene, se non fosse che l’atteggiarsi a vittime incolpevoli di una classe politica criminale dopo gli innumerevoli mattatoi balcanici (Sarajevo, Vukovar, Srebrenica, il Kosovo) appare alquanto strumentale ed autoassolutorio. Vittime o volenterosi carnefici?
La swiftiana e compiaciuta “modesta proposta” di Spasojevic, nonostante un finale di raro cinismo, si rivela, appunto, modesta. Stritolato come puro e semplice film di genere dall’aspirazione al teorema granguignolesco, “A Serbian Film” sbanda verso la satira grottesca, depotenziando l’esibita crudeltà delle efferatezze rappresentate. Più che sulla violenza in sè, il regista punta sulla violazione dei tabù, certo di risultare sufficientemente malsano e disturbante. Tali scene, “newborn porn” incluso, non coinvolgono emotivamente, non turbano, lasciano indifferenti, e questo non per stolida assefuazione all’orrore, ma perché vedono protagonisti astratte marionette i cui comportamenti sono puramente dimostrativi. Nonostante il diffuso chiacchericcio sulla presunta insostenibilità dell’insieme, Spasojevic non sembra aver realizzato che non importa tanto ciò che si mostra, quanto il modo di rappresentarlo. A titolo esemplificativo, basti notare che “A Serbian Film” non possiede un grammo della sadica sgradevolezza dell’Haneke di “Funny Games”, del nichilismo allucinato del “Kichicu” di Kumakiri Kazuyoshi, della profetica lucidità del “Salò” pasoliniano e neanche, per restare in tempi più recenti, della cupezza del “Martyrs” di Pascal Laugier. Più che dalle parti di Sade, ci troviamo da quelle del Grand Guignol o dei tardoromantici sdoganati dai surrealisti, che andavano in brodo di giuggiole per pittoresche truculenze da cronaca nera.
Anche se il regista non riesce ad aggiudicarsi l’Oscar della Trasgressione 2010, ha comunque realizzato un film tecnicamente ineccepibile; servito da buoni attori (in particolare il Milos di Srdjan Todorovic) e da un’ottima fotografia di Nemanja Jovanov, “A Serbian Film” merita una visione, possibilmente scevra da partigianerie o reazioni isteriche. Si astengano spettatori sensibili e anime belle.
Voto: 6
(Nicola Picchi)