Titolo originale: Namgeuk-ilgi
  Regia: Yim Pil-seong
  Cast: Song Kang-ho, Yu Ji-tae, Kim Gyeong-ik, Park Hie-sun, Yun 
        Je-mun, Choi Duek-mun, Kang Hye-jeong
        Produzione: Corea
        Genere: Horror
        Anno: 2005
      Durata: 113 minuti
Sei esploratori, guidati dal veterano Choi Do-hyeong, si addentrano tra i ghiacci dell’Antartide per raggiungere il “Polo di Inaccessibilità”, il punto più interno del continente antartico rispetto alla costa. Il viaggio procede regolarmente fino al giorno in cui Kim Min-jae, il membro più giovane del gruppo, ritrova nella neve un diario quasi illeggibile, abbandonato da una spedizione britannica che aveva tentato la medesima impresa più di 80 anni prima. In breve tempo la situazione precipita: incidenti e fatti inspiegabili funestano la spedizione, mentre Choi Do-hyeong preme per non abbandonare la missione nonostante l’imminente arrivo della notte polare.
 Yim Pil-seong è cineasta appartato e poco prolifico, che realizza opere 
  molto personali difficilmente ascrivibili ad un genere codificato. I due 
  film finora realizzati sono oggetti eccentrici, espressioni di un 
  talento unico ed originale; se il recente “Hansel e Gretel” (2007) è una 
  leziosissima torta glassata al veleno, l’esordio “Antarctic Journal”, 
  presentato al “Florence Korea Film Fest” nella retrospettiva dedicata al 
  K Horror, è un piccolo capolavoro di allusiva ambiguità e di 
  programmatico rifiuto dell’esplicito. Yim, al suo primo film dopo una 
  manciata di cortometraggi, si muove nella terra di nessuno tra il 
  thriller psicologico e l’horror sovrannaturale e preferisce insinuare e 
  suggerire più che mostrare, sollevando interrogativi destinati a restare 
  senza risposta. Perché gli inquietanti parallelismi con la fallimentare 
  spedizione britannica del 1922? A chi appartiene l’occhio che, in una 
  sequenza rimasta famosa, scruta gli esploratori da sotto il ghiaccio? 
  Come mai uno dei componenti del gruppo si ammala, nonostante a quelle 
  temperature nessun virus possa sopravvivere? A chi appartengono le voci 
  che implorano aiuto dalla radiotrasmittente? Di chi sono le immagini 
  spettrali che appaiono nelle registrazioni video? Evidentemente tutto 
  ciò non riveste una grande importanza, ma è assolutamente funzionale 
  alla costruzione di un’atmosfera. Che siano visioni, sogni, 
  allucinazioni o fantasmi del passato, ciò che importa è che accompagnino 
  il progressivo slittamento dei protagonisti del dramma (e dello 
  spettatore stesso) in uno stato di alterata percezione del reale. Il 
  ritrovamento dell’inquietante diario non è che un segnale, la mera 
  prefigurazione della sorte che attenderà i componenti della spedizione 
  quando l’iniziale determinazione, erosa da incidenti via via più 
  drammatici, lascerà il posto alla paranoia e allo stress, fisico e 
  psicologico.
  Yim se la gioca da maestro, sfruttando al meglio gli innevati paesaggi 
  dell’Antartide (ma è la Nuova Zelanda) per ottenere un’atmosfera di 
  isolamento e solitudine, ricorrendo all’inquadratura inaspettata o 
  all’apparizione ai limiti del subliminale per costruire un senso di 
  angoscia crescente. Assecondato da un manipolo di ottimi attori, tutti 
  d’estrazione teatrale, Yim accentua la claustrofobia montante anche 
  nelle rare scene in interni: la tenda, al principio rifugio in cui 
  ritrovarsi per sfuggire alla desolazione circostante, diventa ben presto 
  il luogo deputato in cui innescare psicodrammi e far deflagrare 
  conflittualità inespresse, fino ad annullare le differenze tra dentro e 
  fuori. Senza una via di fuga, tutti i personaggi cadono preda delle 
  proprie paure e della propria immaginazione, in testa l’orgoglioso Choi 
  Do-hyeong che, gravato da un terribile episodio accaduto nel suo 
  passato, trascolora lentamente nella follia. Probabilmente il vero Polo 
  di Inaccessibilità è il punto di rottura che si annida all’interno di 
  ogni uomo, quello in cui si è costretti a fronteggiare i propri fantasmi 
  interiori e ad affrontarne le conseguenze.
  Eccellente come d’abitudine la prova di Song Kang-ho: il suo capitano 
  Choi Do-hyeong, il cui peccato principale è l’hỳbris, è reso con una 
  mirabile economia di gesti e di espressioni e con grandissima intensità, 
  come solo i grandi attori sono in grado di fare. La suggestiva 
  fotografia di Jeong Jeong-heon e la fondamentale colonna sonora di Kawai 
  Kenji ("Avalon" e "Ghost in the Shell"), a cui è affidato il compito di 
  sostenere molte sequenze, completano “Antarctic Journal”, più che un 
  film, un’esperienza a cui abbandonarsi senza restrizioni di sorta.
  Yim Pil-seong è attualmente al lavoro su “ Flower of Evil” un progetto 
  che, a giudicare dalla sinossi, appare molto interessante: una storia di 
  ossessione erotica con risvolti horror che vede protagonisti un 
  americano (descritto come razzista e conservatore) e una giovane 
  coreana.
  Voto: 7,5
  (Nicola Picchi)