The box

Regia: Richard Kelly
Cast: Cameron Diaz, James Marsden, Jillian Jacobs, Frank Langella, James Rebhorn, Holmes Osborne, Celia Weston, Deborah Rush, Lisa K.Wyatt
Anno: 2009
Nazione: Usa
Durata: 115 minuti

TRAMA

Norma e Arthur Lewis ricevono a casa una strana scatola. Il giorno seguente Arlington Steward fa visita ai due e spiega a Norma che la scatola contiene un'opportunità. Se lei accetterà di premere il pulsante contenuto nella scatola le verrà immediatamente consegnato un milione di dollari, e una persona che lei non conosce morirà. La proposta ha validità limitata alle ventiquattr'ore, entro le quali i coniugi dovranno dare una risposta.

RECENSIONE

Ultimamente tutte le volte che si trova di fronte a un remake, lo spettatore che ha avuto la sventura di vedere l'originale, ha sempre un momento di panico. In questo caso giustificato. E' consigliabile, a chi ha visto l'episodio di "Ai confini della realtà" da cui questo "The box" è tratto, astenersi del tutto dalla visione dello scempio operato da Kelly. Giusto per conservare inalterato il ricordo di un lavoro ben fatto. Un'immortale piccolo gioiello di cattiveria, senza tempo e senza nessun bisogno di aggiornamenti da parte di chicchessia. Insomma la sceneggiatura originale di Matheson non meritava l'affronto di essere travisata e resa completamente vacua dal lavoro di Richard Kelly.
E adesso che abbiamo esplicitato il pensiero che sovviene insistente a chi aveva visto il telefilm originale, o addirittura letto il racconto, possiamo con calma dedicarci a spiegare i motivi della rabbia provata di fronte a questo presunto adattamento.
La storia in sè è piuttosto semplice, incentrata com'è sulla volontà dell'autore di mettere direttamente il dito nella piaga della presunta umanità, di cui a volte ci piace dare mostra, per lo più quando non costa nulla. Ma non appena la situazione è inquinata da un ritorno economico, ecco fare capolino la reale natura umana: egoista, cattiva e senza cuore. Senza neanche un briciolo di sentimento che possa anche solo vagamente assomigliare all'empatia e alla condivisione, di cui apparentemente tutti fanno mostra. Il lavoro di Matheson si chiudeva con l'uscita di scena dell'agente misterioso insieme alla sua scatola e con i protagonisti i quali, improvvisamente, realizzavano la portata del gesto appena compiuto.
Ma Kelly ha ritenuto di dover aggiungere alla teoria iniziale alcuni punti, che non solo la snaturano del tutto, ma deresponsabilizzano inquietantemente l'umanità per la sua stessa condotta. In pratica se gli americani scoprono di essere dei bastardi senza cuore è solo perchè qualcuno li ha istigati a sbirciare nel baratro dell'insicurezza lavorativa, tentandoli poi con soldi facili. E naturalmente quel qualcuno non è di questi lidi. O almeno lo era prima di morire e risorgere. Proprio così. Come un novello Gesù, Arlington Steward ci regala il disvelamento finale: siamo tutti dei manichini, manovrati dall'ingordigia e dalla stupidità. Non c'è nessuno che possa sfuggire al governo degli Stati Uniti, agli alieni e ai militari. Capito il messaggio?
Matheson non aveva ritenuto di dover rimestare in nessuna delle paranoie in voga all'epoca, raggelando lo spettatore con la sola frase finale, che implicava una restituzione "occhio per occhio" cui nessuno aveva pensato neanche per un attimo. Mentre Kelly mette su un'improbabile circo, con la Nasa, i marziani e i non morti, senza destare neanche la curiosità di chi guarda, il cui unico interesse allo scadere dei primi quaranta minuti, è il controllo del minutaggio residuo. Lo sbadiglio è nemico acerrimo dei thriller e in questo caso è tale la noia che l'unico brivido possibile potrebbe essere quello dell'arrivo dell'infermiere che ci viene a sbloccare le mascelle o a tirare su le palpebre.
Il tutto è completato da ammiccamenti e sottolineature del tutto superflue e da una fotografia patinata assolutamente fuori luogo. Inoltre la regia magniloquente e barocca aggrava di molto la sensazione di essere oggetto di una grossa presa in giro, che lo spettatore avverte a più riprese.
Il casting improbabile, fatto salvo un buon Frank Langella, mostra una Cameron Diaz, che sgrana gli occhioni durante tutto il tempo tremolando di fronte al marito, che per la verità dimostra l'età di suo figlio, mentre lui non sa neanche da che parte guardare.
Se questo è il tentativo di Kelly di tornare a un cinema di successo dopo l'orrendo scivolone di "Southland tales", purtroppo duole segnalare come sia miseramente fallito. L'insieme trasmette la disturbante sensazione che il regista abbia lasciato la macchina da presa accesa e si sia allontanato per bere qualcosa, probabilmente deve aver bevuto un po' troppo, visti i risultati.
Voto: 4
(Anna Maria Pelella)