District 9

Regia: Neill Blomkamp
Cast: Sharito Copley, Jason Cope, David James, Vanessa Haywood, Mandla Gakuda, Kenneth Nkosi, William Allen Young
Produzione: Nuova Zelanda
Anno: 2009
Durata: 111 minuti

TRAMA

Negli anni ’80 nel cielo di Johannesburg appare una gigantesca astronave: a bordo vengono trovati dei profughi malridotti e bisognosi di cure, i quali vengono confinati in un ghetto appositamente creato, il District 9. Il District 9 è controllato e gestito dall’MNU, una corporation privata, il cui obiettivo primario è scoprire il funzionamento delle armi trovate a bordo dell’astronave e appropriarsi della tecnologia aliena. Un giorno un funzionario dell’MNU, Wikus van der Merwe, si infetta involontariamente con una sostanza che provoca una mutazione del suo DNA, causandone la graduale trasformazione in alieno. Ostracizzato dai colleghi e dalla famiglia, braccato dall’MNU, che vorrebbe usarlo come cavia nei suoi esperimenti, Wikus si rifugia nel District 9, dove trova due imprevisti alleati nell’alieno Christopher Johnson e in suo figlio CJ.

RECENSIONE

Chissà che cosa penserebbe l’Alto commissario ONU per i rifugiati del trattamento riservato agli sventurati alieni di “District 9”? Confinati in una fatiscente baraccopoli, comunque più accogliente degli italici CPT, trascorrono le loro giornate elemosinando scatolette di cibo per gatti, di cui sono ghiottissimi, senza neanche il miraggio di un permesso di soggiorno. E’ dunque naturale che, dopo una reclusione ventennale, si verifichino i primi episodi di intolleranza reciproca e di mutue aggressioni tra umani e alieni, motivo per cui il governo decide di allontanare gli indesiderati ospiti dalla città e di trasferirli in una nuova struttura: il District 10. Il tutto avviene in quel di Johannesburg, in un Sudafrica post-Mandela pronto a riabbracciare entusiasticamente l’apartheid.
Le idee del regista sudafricano Neill Blomkamp, che sviluppa un suo cortometraggio del 2005 (Alive in Jo’burg), sono sostanzialmente due, ed anche discretamente efficaci. Memori del vecchio “Alien Nation” (1988), gli alieni di “District 9” non sono i voraci predatori che siamo abituati a vedere sullo schermo, né tantomeno gli spielberghiani portatori di un messaggio di fratellanza universale, ma solamente un’accozzaglia di creature denutrite e malate, la cui astronave ha cessato di funzionare. Questo permette a Blomkamp, anche sceneggiatore con Terry Tatchell, di effettuare un inusuale rovesciamento di prospettiva. Il problema non è più il chiedersi quali saranno le intenzioni degli extraterrestri nei nostri confronti, ma che cosa la specie umana, costituzionalmente violenta e xenofoba, sarà in grado di fare a loro. Il regista nega l’allegoria, ma è fin troppo evidente il richiamo a razzismi passati (impossibile non pensare all’ex ghetto di Soweto) e futuri (il problema dell’immigrazione), com’è anche fin troppo evidente dall’intelligente e aggressiva campagna di marketing che ha accompagnato l’uscita del film, strutturata su simboli segregazionisti.
La seconda idea, che si rivela vincente, è quella di adottare le forme del mockumentary in odore di satira, inframezzando la narrazione, condotta in stile cinema-verità, a interviste a presunti esperti del problema alieno e a convulsi flash di notiziari televisivi modello CNN. L’utilizzo preponderante della camera a mano e di microcamere posizionate in differenti punti del set, danno una certa credibilità all’illusione di immediatezza che si vuole raggiungere e, insieme al montaggio viscerale di Julian Clarke e alla fotografia sporca (il film è stato girato in HD) di Trent Opaloch, riescono a conferire a “District 9” un aspetto crudo e realistico.
Nonostante ad un certo punto l’intento satirico si affievolisca, cedendo il passo ad un certo convenzionalismo, “District 9”, prodotto da Peter Jackson, è un singolare esempio di low-budget fantascientifico originale e addirittura brillante e può servire da salutare antidoto alle baracconate SF a stelle e strisce.
Gli effetti speciali della WETA Workshop utilizzano un mix di effetti CGI e protesi, e il design delle creature, simili a crostacei, è convincente, anche se non manca una strizzatina d’occhio a E.T. nel personaggio del piccolo CJ. Ottima prova di Sharito Copley nel ruolo di Wikus, un odioso e meschino burocrate che, attraverso la mutazione, affronta una sorta di risveglio spirituale. Forse, come suggerisce Blomkamp, l’ultima speranza per la specie umana è diventare aliena a se stessa.
Voto: 6,5
(Nicola Picchi)