Watchmen

Regia: Zack Snyder
Cast: Jeffrey Dean Morgan, Carla Gugino, Malin Akerman, Billy Crudup, Patrick Wilson, Jackie Earle Haley, Matthew Goode, Stephen McHattie, Matt Frewer, Danny Woodburn
Sceneggiatura: David Hayter, Alex Tse
Produzione: U.S.A., Regno Unito, Canada
Anno: 2009
Durata: 162 minuti

TRAMA

In un 1985 alternativo, la situazione tra USA e Russia è insostenibile: la tensione è palpabile, e migliaia di testate atomiche sono pronte a ridurre l’intero pianeta in un mucchietto di cenere. E mentre sembra ormai imminente il giorno del giudizio, un assassinio scuote la città: il cadavere appartiene al vecchio Edward Blake, altresì noto come il Comico quando, da giovane, aveva fatto parte dei Minutemen prima e dei "Watchmen" dopo, entrambi gruppi di vigilanti mascherati, ormai in pensione.
Rorschach, l’unico "Watchmen" ancora in attività, indaga sull’omicidio, con l’aiuto di due ex colleghi, Danny e Laurie, indecisi se indossare di nuovo le maschere o meno.

RECENSIONE

Credo che una certa obiettività sia fondamentale nel momento di valutare un rifacimento. Che si tratti di un remake o di una trasposizione cinematografica di un libro, fumetto, videogioco e quant’altro, ritengo importante scindere l’opera originaria dal nuovo, senza alcun pregiudizio di sorta che possa, anche solo in minima parte, influenzare, e di conseguenza alterare, il giudizio finale. Mi sembra l’approccio più rispettoso e corretto, forse anche un filino pretenzioso, per poter analizzare un film in quanto film, e non come rielaborazione di qualcos’altro.
Bene. Con "Watchmen" questo ragionamento non si può applicare.
Ho cercato, facendo appello a tutta la buona volontà di cui dispongo, di isolare la pellicola di Zack Snyder dal fumetto di Alan Moore, di vederla, valutarla e magari anche gustarla come un innocuo viaggio chilometrico fra tutine aderenti e maschere colorate, ma mi è impossibile non fare alcun riferimento alla monumentale graphic novel e, vien da sé, triturare questo rigurgito fintopsicologico.
"Watchmen" nasce come fumetto e tale sarebbe dovuto restare, ma è inutile soffermarsi più di tanto sulla tragedia compiuta dal nuovo evil god di Hollywood. Immagazzinare 500 pagine pregne di filosofia, mescolate in un inarrivabile caleidoscopio di complessità psicologica, e trasformarle in immagini patinate e zuccherose, era impresa impraticabile già in partenza. Specie se in cabina di regia siede una mente ossessionata dall’estetica e dalla meraviglia puramente visiva.
Troppo elevata la finezza dialogica dell’opera di Moore, troppo precisa la metrica narrativa, troppo velleitario il mosaico di sottotrame per trarne un film decente dal minutaggio inferiore alle quattro cifre.
Si rendevano necessari abilità di sintesi e fiuto riassuntivo per poter condensare una tale enciclopedia sociologica in un linguaggio filmico adatto, secondo il target costruito dalla carriera del filmaker di "Dawn of the dead" e "300", a un pubblico vario ma non troppo esigente.
E quindi si resta allibiti di fronte alla scelta di rendere omaggio alla graphic novel attraverso una riduzione cinematografica inaspettatamente fedele. Come può essere facile immaginare, nelle dita degli sceneggiatori Hayter e Tse non scorre il sangue adatto a tale gesta titanica, e pertanto il timore di avere a che fare con una pellicola interminabile che avanza per glaciali crateri dialogioci, è ora concreto e tangibile.
Certo, non è il film che ci si poteva aspettare da Snyder, e diamogli almeno atto di aver tentato. "Wacthmen" non è l’ostentazione dell’eccesso fisico né il ring per estenuanti quanto spettacolari combattimenti. E non è il facile blockbuster sempliciotto e volubile né l’eden di effetti speciali e CG masturbatori e sbrodoloni. Sono elementi cari a un certo cinema d’intrattenimento che, per carità, sono presenti in gran numero anche qui (l’infinita scazzottata tra il Comico e il suo aggressore che apre il film), ma la pellicola non si riduce a una mera esclation di tette, muscoli e sudore. Ricerca infatti una certa sottile psicologia e una profondità narrativa, senza però avere una qualche minima virtù per sostenere l’impalcatura creata.
Il primo, enorme problema di "Watchmen" si riscontra proprio in una ricerca estenuante del dialogo intellettuale e ambizioso che, però, non trova mai terreno in cui affondare le radici. Il ritmo è sempre troppo veloce, esagitato e fuori luogo per poter cullare una crescita di parole e pensieri così pretenziosi. E se nella graphic novel la cadenza narrativa poteva rallentare per garantire un’adeguato numero di balloon nella costruzione di una sequenza, nel film ciò avviene raramente, e si percepisce sempre una sensazione di freddezza che, drogati ovviamente di una sospensione all’incredulità, vieta di poter immedesimarsi nella realtà raccontata da Snyder. Tutto è così costruito e fasullo e inadeguatamente cerebrale che, anche nei momenti di maggiore drammaticità, i ragionamenti esalati dai "Watchmen" non sembrano scaturire dalla loro scatola cranica, ma paiono essere letti da gobbi furbescamente celati fuori campo.
In questo aiuta un cast tremendo, composto da manichini gonfiati di steroidi e silicone tanto precisi e chirurgici nella tridimensionalità dei personaggi di carta (la somiglianza di Danny e Rorschach è sconcertante) quanto incapaci di flettere un solo muscolo facciale e creare un’espressione che sia una.
Citazione a parte la merita comunque il bravo Jackie Earle Haley, per il suo Rorschach cinicamente carismatico, un personaggio ben tratteggiato che non perde nulla, e anzi, paradossalmente ne guadagna, dal passaggio su pellicola.
Poter quindi digerire tale escalation di insensibile rigore colloquiale diventa arduo quando la struttura non lineare della storia inizia a emergere e confondere lo spettatore.
Sbarazzatisi di alcune sottotrame irrealizzabili nel progetto generale ("I racconti del Veliero Nero" è però, per esempio, diventato un corto d’animazione in uscita, assieme a "Under the hood", in dvd/blu-ray,) viene ostentata una fiscalità strutturale che può rendere la visione terribilmente ostica a chi non conosce il fumetto. Lunghi flashback, fulminei flashforward, diversi punti di vista, narrazioni in prima persona e, semplicemente, una gran quantità di personaggi, annichiliscono e smarriscono a causa di alcune leggerezze, mancanze o sovrabbondanze che dovevano essere gestite con più coscienza e linearità.
Tutto questo non sarebbe un delitto, in fondo, lo posso dire senza troppe contorsioni di stomaco, ma soltanto un film pretenzioso ma ahimé mediocre come tanti altri kolossal, se non fosse stato per l’inconcepibile, incomprensibile, inspiegabile e stupidamente folle scelta di... CAMBIARE IL FINALE.
Fingere devozione al fumetto per eccellenza e poi mandare tutto a puttane è la chiara e manifesta coglionaggine suprema di Zack Snyder. Ci ritroviamo così con una conclusione che ricalca sì l’originale, ma modifica un punto - quel punto fondamentale che nella graphic novel fungeva da traino per le mille domande nate - che non solo ridicolizza l’intero lavoro, ma crea un’insensata e balorda parentesi sociale che vanifica tutto, che non ha appigli con quanto narrato e che non ha credibilità nello sciogliere i nodi.
Si potrebbe continuare a coprire di liquami il lavoro di Snyder parlando dell’ignobile colonna sonora, che assembla pezzi a caso di trent’anni fa con una manciata di partiture orchestrali da quattro soldi rubate a Matrix. O ancora degli impliciti ammiccamenti sessuali, o della poetica dell’erotismo soffice e appena accennato che poi sfocia in una delle copule più volgari e tamarre della storia del cinema, o delle improvvise tempeste di sangue e frattaglie e ossa spezzate, o... basta, per carità.
Alla luce di questo, mi chiedo a chi possa interessare il film. Lo spettatore occasionale affogherà nella noia di una trama complicata e per lo più inacessibile; lo spettatore esigente vomiterà delusione per la mancanza di uno script veramente solido che potesse sostenere una vicenda così intricata e per una recitazione imbarazzante; e infine il fan devoto... be’, il fan devoto non avrebbe dovuto vederlo.
E adesso, who watches Zack Snyder?
Voto: 5
(Simone Corà)