The deserted inn

Titolo originale: Huang Cun Ke Zhan
Regia: Chang Jing
Cast: Kenny Kwan, Hu Mi Tin, Xue Shan
Nazione: Cina
Anno: 2008
Durata: 88 minuti

TRAMA

Fan è un musicista in crisi creativa. Dopo il suo unico successo non riesce più a scrivere e questo gli crea problemi anche con Ying, che insiste per il matrimonio. Un giorno si accorge di un iperlink nel suo blog che pubblicizza un albergo nel lontano paesino di Huang Cun. Il posto sembra suggestivo, anche per la promessa del fatto che tra quelle vie sarà possibile ascoltare la musica di Yanzhi, che leggenda vuole abbia abitato quelle stanze e quei luoghi. Fan si reca sul posto e chiede la stanza che contiene il letto di Yanzhi. Da quel momento gli pare di vedere persone del passato e di sognare suggestive composizioni musicali.

RECENSIONE

Attualmente in Cina sono oggetto di censura non soltanto i film di Jia Zhangke, apprezzatissimi in tutto il mondo, ma anche alcuni concetti di natura astratta come gli elementi fantastici. Questo da un lato ha creato non pochi problemi alla distribuzione di film internazionali, come il recente ultimo episodio de "La mummia", che annovera tra i suoi protagonisti il famoso attore cinese Jet Li. Ma per quello che concerne i film interni, questa pratica ha addirittura generato un filone di bellissimi lavori il cui risultato finale però, appare essere forzato dal tentativo di spiegare razionalmente, e in sostanza negandoli, tutti i contenuti fantastici abilmente intessuti nella trama. E' questo il caso del discontinuo "Help", che risulta per questo gravemente penalizzato, e del bellissimo "The deserted inn".
Quest'ultimo si compone di due parti chiaramente distinte, la prima e più lunga è quella della costruzione dell'atmosfera fantastica, con suggestivi piccoli suggerimenti fotografici ed evocativi richiami a leggende del passato, e la seconda, breve ma incisiva, in cui si nega tutto quello che si era abilmente insinuato, appiattendo di colpo il risultato di quella che finisce per somigliare ad una meravigliosa costruzione di carta.
Basato sul racconto Huang Cun, il film racconta di Fan, Kenny Kwan già in "Trivial matters" e "Love battlefield", giovane musicista in crisi. Il suo unico successo, "Sorry i love you", è ormai lontano ed egli non riesce a trovare ispirazione, naturalmente questo si riflette anche sulla sua vita di coppia. Motivo per cui egli decide di visitare un luogo lontano, trovato sul suo blog, che pubblicizza un vecchio albergo nella suggestiva cornice di un villaggio del passato. Fan si reca nel lontano albergo dove fa la conoscenza del proprietario, un inquietante personaggio che lo intrattiene con il racconto delle leggende del luogo. Là Fan ha la fugace visione di persone vestite come all'epoca della dinastia Ming e incomincia a fare strani sogni. Dopo qualche giorno lo raggiunge la sua fidanzata, Ying e i due dormono nel letto della leggenda principale del luogo, che lo vuole teatro di un'attesa ultraterrena e di legami indissolubili. Da questo momento in poi la faccenda si complica e i due assistono impotenti alla rottura del loro legame e alle conseguenze sul lavoro di lui.
Fin qua tutto bene, il film funziona alla perfezione e gli elementi suggeriti, insieme con la leggenda di Yanzhi, costituiscono un forte canovaccio e un gustoso preludio a qualcosa di potente e soprannaturale. Ma purtroppo, come anche in "Help", a questo punto sopraggiunge il tentativo di far rientrare tutto nei canoni della razionalità e l'atmosfera così abilmente costruita viene soffocata senza pietà da una spiegazione che definire forzata è un eufemismo.
Il povero Fan finisce per diventare una vittima della follia del suo padrone di casa, in un clima di paranoia tale da far desiderare allo spettatore un'interruzione della pellicola appena prima che essa scivoli nel ridicolo. Ma l'interruzione agognata non solo non avviene, ma addirittura siamo costretti ad assistere impotenti alla distruzione sistematica di uno dei più suggestivi plot asiatici degli ultimi anni. La potente fotografia e le scene incantevoli di un luogo fantastico salvano in parte dall'oblio questo accuratissimo lavoro, ma il consiglio allo spettatore è di abbandonare la sala subito dopo la distruzione della statua di Xiaozhi, al fine di conservare la magica atmosfera di una Cina che non esiste più, se non per opera del progresso, per quella di prescrizioni che soffocano l'unica cosa che dovrebbe esser libera ad ogni latitudine: l'espressione artistica.
Voto: 6
(Anna Maria Pelella)